Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

Il di dentro di me

Tempo di lettura 2 minuti

Non è semplice avere un super potere. La parte più difficile è saper controllarlo. Evitare che ti trasformi in un mostro, o che il mostro che hai dentro ti uccida.
Il processo è stato lento, lungo, passo a passo fino a svuotare tutto ciò che era rimasto dentro di me.
La prima parte a morire è stata l’intestino. Dal basso. Era lì che sentivo la tensione la pressione forte e la costrizione dell’ansia, della paura di perdere qualcuno. Era lì che sentivo il desiderio di amarti per quanto la gente parli di cuore. Era lì che bruciavi di più. Volevo dimenticare quello, cessare di provarlo e basta ma a morire fu soprattutto l’ansia. La paura. Cessai di essere capace di provarne. In effetti aveva i suoi lati positivi. Non era il risultato che avrei voluto ottenere ma non avere paure, non avere ansie, aveva il suo lato positivo.
Non era sufficiente perché lo stomaco bruciava.
Non provavo ansia ma era lì dentro lo stomaco che succedeva il resto. Un fuoco. Come un roditore che rode e morde e consuma, come una ruota dentata, mille ruote dentate a girare e rotolare, pezzi di vetro spezzati da ruote dentate dentro lo stomaco a ruotare e accumularsi fino a riempirlo e sputare e vomitare sangue e vetro e sabbia. Ho dovuto uccidere il mio stomaco. Escluderlo da ogni emozione. Escluderne ogni sensazione, strapparlo da dentro di me. Non avrei più sentito la tensione della rabbia, del rimorso, della vergogna.
È stato quello il momento in cui mi sono accorto di non essere più in grado di respirare. Erano i polmoni ad opprimermi, erano i polmoni. Sentivo il freddo, il gelo fermarli, renderli incapaci di muoversi. Non era ansia, quella non la provavo da tempo, ne assenza, ne altro di cui fossi in grado di comprendere il motivo. O forse solamente una parte di tutte queste. Sentivo il rantolo della vita opprimere il mio essere, l’assenza di aria, l’incapacità di respirare e non esisteva luogo o situazione da cui uscire. Ovunque fossi l’oppressione era la stessa. Ogni luogo era un fuori luogo, come un pesce fuori dal’acqua od un uomo che affoga nessuno e nulla era ciò che doveva essere. Decisi di togliere anche i polmoni. Decisi che era l’unica soluzione.
Rimbombava, il cuore. Rimbombava nel vuoto di una cassa toracica divenuta di risonanza. Rimbombava forte perché ti avevo incontrata ancora. Rimbombava come un martello che rintocchi su un gong amplificato da una stanza vuota e piccola fino a farmi esplodere le orecchie, fino a farmi esplodere il cervello rimbombava. Lo sentivo premere nel collo gonfiare le vene, spingere. Ogni volta che nella mia mente tornava a profilarsi il tuo volto, il ricordo del tuo sorriso, del tuo sguardo. Di ciò che mi avevi fatto e di ciò che avresti potuto ancora farmi. Rimbombava come un suono ridondante, come rocce che rotolano giù da un dirupo. Lo spensi. Spensi anche il cuore e lo estrassi.
Rimase il vuoto. Niente altro dentro che il vuoto. Il silenzio.
E il fuoco.
Dentro il fuoco. Come guardare in alto in una grotta e vederne dall’interno le pareti rosse, nere di carne bruciata e piaghe. Il fuoco che non sterilizza, non cauterizza. Asciuga piaghe che vomitano pus e quando si ritira le crea di nuovo e in quella grotta ovunque cade liquido giallo e virulento e sangue che accende ancora quel fuoco che asciuga e brucia e chiude piaghe per aprirne altre ed ancora e ancora e ancora.
Decisi infine che l’unico che doveva essere distrutto era il mio cervello. Schiacciato come a schiacciare una noce quando per aprirla ci si mette troppa energia.
Tutti questi pensieri avrebbero cessato di esistere. Tutti questi ricordi sarebbero scomparsi per niente. Non avrei più pensato al futuro.

Disclaimer su racconti e poesie

Tutto ciò che leggi qui dentro è una libera rielaborazione di vissuti, sogni e immaginazioni. Non rispecchia necessariamente la mia realtà. Se chi legge presume di interpretare la mia vera persona, sbaglia. Se chi legge presume che tutto sia inventato, sbaglia parimenti. Se tu che leggi mi conosci, leggimi come leggeresti uno scrittore sconosciuto e non chiederti altro di diverso di ciò che chiederesti di questo.

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