Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

La mia prima volta

Tempo di lettura 6 minuti

La prima volta che lo feci non sembrava nulla di che. Alla fine lo facevano tutti, o almeno lo facevano le persone che io ritenevo le più intelligenti, le più sensibili, quelle di cui preferivo circondarmi. Ero un ragazzo, eravamo tutti ragazzi e sembrava una cosa figa.
Provi. Tanto hai tutta la vita davanti, anzi ai tuoi piedi. Perché a quell’età non hai idea di cosa sia la vita ne davanti ne dietro, sai cos’è l’oggi, l’adesso. Il domani è tuttalpiù il tempo che ti separa tra l’adesso e un evento interessante. Non sapevo che un giorno sarebbe diventato il tempo che mi separava tra l’ultima volta e la prossima, niente altro.
Il gioco è stato divertente, me lo ha proposto Marco e mi sono chiesto “cosa succede se provo? Cosa se non provo?”. L’unica risposta che mi sono dato è che se non lo avessi fatto sarei stato uno sfigato, che Marco non mi avrebbe considerato all’altezza. E così l’ho fatto.
Ero consapevole che non fosse una cosa di quelle che si dicono cose buone ma avevo la testa sulle spalle ed ero perfettamente in grado di controllarmi. Proprio il mio essere più sensibile della media, il mio guardare dentro le persone e capirle, era la cosa che mi rendeva più forte ed in grado di controllare me stesso in ogni situazione. Non ero una persona molto socievole, anzi lo ero, ma i miei spazi interiori erano fondamentali, ricavarmi momenti per rimanere da solo e per riflettere, per isolarmi dal chiasso del mondo. Le prime volte lo facevo con gli altri, non l’isolarmi ovviamente, lo facevo con gli altri perché era un modo di fare gruppo, di essere gruppo, di appartenere a qualcosa. Poi mi resi conto che forse in qualche modo stavo un po’ esagerando. Gli amici me lo fecero notare. “Cos’è? Non ti sai divertire senza? Ultimamente sembri strano, va tutto bene? Anche sta sera? E se andassimo al cinema invece?” la cosa mi dava fastidio perché mi faceva vedere un po’ più debole ai loro occhi. Mi dava fastidio anche perché non mi va di parlare troppo di me se non ho voglia di farlo io. Ne parlo quando decido e non mi piace ricevere troppe domande insistenti. Iniziai a farlo nei momenti di solitudine. Era consolatorio, mi aiutava ad aprire maggiormente la mente, ad essere maggiormente in comunione con me stesso e con il mondo. In fondo il mondo non era in grado di comprendere le cose che avevo dentro e questo mi aiutava a far maggiormente coscienza all’interno di me. Qualunque cosa volesse dire. Poi quando fai cose incontri sempre prima o poi persone che fanno le stesse cose. Alla fine anche nella solitudine l’uomo è un animale sociale. Frequentavo ancora i miei vecchi amici ma tra quelli nuovi qualcuno mi conosceva meglio, o quantomeno conosceva meglio il mondo interiore che mi ero creato perché era lo stesso che si era creato lui. Imparai cose nuove, nuove esperienze da provare, mi sembrò di ritrovare me stesso in queste esperienze, di avere finalmente un obbiettivo ed un motivo di vita. Mi sentivo rinascere perché dentro queste esperienze tutto il brutto del mondo scompariva e mi ritrovavo con la parte più vera di me in una continua spirale tra riflessione e urla di piacere, tra distorsione della realtà e realtà più vive di quelle che avessi mai provato. Credo sia stato il periodo più bello della mia vita, il più spensierato. I miei vecchi amici continuavano a chiedermi cose, non ricordo neppure cosa ma non mi importava, erano di certo cose inutili, quasi tutti avevano smesso ed io non trovavo molto da condividere con loro. I nuovi invece mi insegnavano la vita. Correvo. Correvo e ridevo. E viaggiavo. Qualunque cosa intendessi per viaggiare viaggiavo. Fu crescendo che mio padre si accorse che qualcosa non andava bene. Secondo i suoi canoni intendo, perché dal mio punto di vista andava tutto alla grande. I soldi che prendevo in prestito da lui erano troppi diceva. Io non gli avevo mai detto che li stavo prendendo, e neppure quanti fossero. Fece in modo di non farmeli più trovare ed il periodo più bello della mia vita si trasformò lentamente in qualcos’altro. I primi tempi i miei nuovi amici mi supportavano e mi davano una mano con le spese importanti, quelle che io ritenevo importanti, anche i miei vecchi amici per un po’ mi aiutarono senza chiedermi mai a cosa mi servissero quei soldi poi smisero. Prima i vecchi amici e poco dopo i nuovi. I vecchi si allontanarono, o accettarono il mio distacco non saprei dire, i nuovi diventarono aggressivi. “Abbiamo gli stessi bisogni amico, siamo sulla stessa barca ma chi non contribuisce al bene è meglio scenda.”. Avrei fatto meglio a scendere. Sì. Non furono rare le volte in cui nella mia mente facevo paralleli tra lo scendere dalla chiatta e lo schiattare. Una delle due sarebbe valsa tranquillamente l’altra. Ma quei viaggi, quelle emozioni, quelle esperienze valevano tutta la mia vita. Almeno così mi pareva, e se un modo c’era per viverli valeva la pena vivere la mia vita. Trovai modi alternativi per procurarmi il necessario. I primi furono dei piccoli furtarelli ma era difficile rubare soldi. Le casse dei negozi sono troppo controllate e non mi andava di fare una rapina. Le vecchiette portavano la borsa in quel modo fastidioso sotto il braccio che per strappargliela dovevi per forza fargli del male. Solo le ragazzine portano ancora la borsa alla leggera che glie la puoi portare via in un momento, ma non sempre ero fisicamente in grado di correre veloce, più veloce dei loro ragazzi o della gente. Così le usavo solo quando ero in forma, quando non era passato troppo tempo tra l’ultima volta e la prossima. Ero un bel ragazzo e scoprii presto che alcuni uomini sarebbero stati disposti ad aiutarmi se io avessi aiutato loro e così lo feci, feci il possibile per soddisfarli e così riuscivo a soddisfare me, la mia brama di viaggiare. Ci volle diverso tempo prima di cominciare a farmi schifo da solo. Non succede mai tutto di un botto ma comunque mi ce ne volle più di quanto ce ne voglia ad una persona normale. La mia vita era come una sinusoide, su, giù, su, giù, su giù. Il ciclo iniziava sempre dall’ultima volta. Subito dopo l’ultima volta ero un dio. Subito dopo l’ultima volta il mondo era bello e se anche era brutto non me ne fregava un cazzo. Poi l’ultima volta cominciava ad allontanarsi e vedevo il mondo diversamente. Vedevo me stesso diversamente. Stavo invecchiando precocemente, stavo distruggendomi ed era ora di chiudere una volta per tutte. Non era quello il punto più basso. Il punto più basso era più avanti, non a metà tra l’ultima volta e la successiva. Spesso era più vicino alla successiva. Il punto più basso era il momento in cui il desiderio tornava a farsi forte, il momento in cui mi rendevo tragicamente conto che non potevo fermare il ciclo. Non questa volta. Lo avrei fermato alla prossima tuttalpiù. Tornavo a compiacere qualche uomo, o a portare via la borsa qualche sciacquetta, o peggio nel tempo. O peggio. E poi finalmente potevo ricominciare il ciclo. Ero nuovamente un dio e fanculo a tutti.
Per un po’.
Ancora oggi non sarei in grado di dire di non farlo. Perché la mia vita è stata fantastica in questi pochi anni che ho vissuto. Non sono in grado di dirti che i miei viaggi non siano stati epici, che non lo rifarei. Guardo mio padre negli occhi mentre mi guarda negli occhi. Sa che vivrà più di me. Sa che un padre non dovrebbe mai vivere più a lungo del proprio figlio ma sembra più giovane di me. O io sembro più vecchio di lui. Ormai sono anni che gli uomini non mi vogliono più per compiacersi e le rapine ho dovuto imparare farle, qualche volta ho dovuto trovare il coraggio di strappare la borsa a qualche vecchietta perché non ce la faccio più a scappare dai morosi delle squinze. Una volta uno di quei ragazzi mi ha pestato a sangue e poi sono stato arrestato. Il carcere è stato il periodo più brutto della mia vita. Non potevo viaggiare. Non potevo fare ed avere esperienze. Quando ne uscii mi dicevano “Ora sei pulito! Cambia la tua vita!” ma io mi sentivo sporco. Sporco e schifoso. Anche in carcere avevo dovuto compiacere alcuni per sopravvivere ma non mi importava, dovevo solo aspettare il tempo di uscire. Il tempo della prossima volta.
Mio padre sa che me ne andrò presto, e lo so anche io, e lo sanno questi medici che non fanno che farmi la morale e dirmi che sono le conseguenze della vita sregolata che ho avuto. Hanno ragione. Sì. Hanno tutti ragione. Avete tutti ragione. Sbaglio solo io. Ma l’avete provata voi quella prima volta? Quella sensazione di sentirsi speciali, quella voglia di rovesciare il mondo, quella consapevolezza? L’avete provata? Allora no. Non lo potete capire perché un uomo può ridursi così.
Se vi consiglierei di farlo? Sì. Se volete rimanere da soli, guardarvi avanti ed accorgervi che domani non esiste. Guardarvi dietro ed accorgervi che ieri è terra bruciata. Guardarvi ora ed accorgervi che non siete più nulla se non un pezzo di carne che pulsa ancora un po’.

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Disclaimer su racconti e poesie

Tutto ciò che leggi qui dentro è una libera rielaborazione di vissuti, sogni e immaginazioni. Non rispecchia necessariamente la mia realtà. Se chi legge presume di interpretare la mia vera persona, sbaglia. Se chi legge presume che tutto sia inventato, sbaglia parimenti. Se tu che leggi mi conosci, leggimi come leggeresti uno scrittore sconosciuto e non chiederti altro di diverso di ciò che chiederesti di questo.

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