Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

Ci piace essere i buoni. Ma lo siamo?

Il discorso è sempre lo stesso. Guardare un mondo lontano e gli errori degli altri ci rende automaticamente migliori. Facile vedere come i bianchi americani siano cattivi e i neri americani siano vittime. Facile puntare il dito. Ci fa sentire migliori perché noi non siamo così, noi non discriminiamo per il colore della pelle, per la provenienza, per la religione, noi non siamo così.

Alcuni di quelli che ora alzano gli scudi virtuali e scagliano armi di condivisione di massa forse li hanno alzati e scagliati anche quando al governo avevamo un Ministro dell’interno e Vicepresidente del Consiglio che sbandierava a gran voce di star chiudendo i porti, si vantava di lasciare le navi al largo lasciando affogare migranti come formiche per salvargli la vita. Lo voglio sperare perché in caso contrario sarebbero davvero persone strane e leggermente bipolari.

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T-Shirt Radical Chic

I buonisti, Bibbiano e la Sea Watch

Un paio di giorni fa ho condiviso su Facebook un articolo che ho trovato interessante dal sito Linkiesta. Il titolo, decisamente provocatorio, era “Due americani hanno ammazzato un buonista. E voi razzisti avete perso un’altra occasione per stare zitti” (link: https://tinyurl.com/y4mdugnd poi rimosso da www.linkiesta.it/). Avevo trovato molto buono il titolo, nonostante apparentemente offensivo perché aveva la capacità di mettere in cortocircuito il cervello di buona parte dei lettori. Un po’ per le stesse ragioni per cui probabilmente tu stai leggendo questo articolo. “I buonisti, Bibbiano e la Sea Watch” mi aspetto che attiri chi mi conosce che penserà mi si sia fuso il cervello e chi non mi conosce che sarà pronto a scagliarsi contro una a caso delle fazioni che oggi dividono il mercato della comunicazione di massa.

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Per parlare di Rifugiati bisogna mettere foto di gattini?

Post modificato il 20 luglio alle 18:25

Qualche giorno fa ho scritto un articolo sul’essere rifugiato, cercando di confrontare la visione che può avere il cittadino italiano medio con quella che può essere l’esperienza di un rifugiato vero, anche se l’ho chiamato rifugiante. L’immagine che ho scelto per rappresentare l’articolo è stata quella di un disegno che riprendendo il tema dei bambini deceduti in questi viaggi della speranza ne propone uno sulla soglia di casa su uno zerbino con scritto in inglese “negato”.
Perché ho scelto questa immagine? Inanzi tutto perché marcata come libera per l’utilizzo, in secondo luogo perché trattava il tema giusto, ed infine perché avrebbe colpito.

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Una risposta che ho ricevuto su twitter è stata questa immagine, senza alcun ulteriore commento

Ovviamente dal profilo di qualcuno che non ci mette la faccia ma che mette a profusione la faccia del nostro beneamato Ministro Dell’Interno.

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Rifugiarsi

Rifugiarsi, rifugiato, rifugio.
Ricorrono spesso queste parole, questi concetti. Li sento ripetere, parlarne, parlarne ancora. A proposito, a sproposito, in maniera utile e inutile. Ho sempre amato andare a fondo delle parole e capirne il significato etimologico. A forza di ripetere la stessa parola, la stessa radice diventa più un fonema che un significato.
Si scinde il significato dal simbolo, come quando si opera per iscritto su una addizione di grandi numeri. Non è più la somma di quei due numeri ma la somma dei significati che attribuiamo ad altri simboli in cui abbiamo scomposto quel numero. La somma dei significati dei simboli più a destra, e via via spostandosi a sinistra ignorando il numero reale da cui siamo partiti.
Rifugiarsi, rifugiato, rifugio.
Rifugio è la radice, dal latino Refúgium, da RefúgereRe -dietro- e fúgere -fuggire-.

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