Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

Itaca

Non li ho compiuti oggi trentacinque anni, è già passato qualche giorno.
Era un tempo del bilancio nella mia testa, di progetti di sogni, di desideri, di obbiettivi.
Sono falliti tutti. Dal primo all’ultimo.
Eppure sono felice.
In procinto di cambiare lavoro abbandonando un progetto che amo ancora durato quasi dieci anni, in procinto di proseguire sul mio grande sogno nonostante le mura alte che lo hanno circondato, in procinto di provarne un’altro più incredibile e assurdo, in continuo cambiamento.
In continuo cambiamento.
Oggi mi è ricapitata in mano, Itaca di Costantino Kavafis, o più precisamente mi è stata fatta ricapitare in mano, è curioso se penso quando e come ne sia venuto a contatto la prima volta. Era l’inizio della mia libertà, della mia vita in qualche modo adulta. La leggevo e sognavo che la mia vita sarebbe stata un viaggio incredibile e pieno di avventure, esperienze viaggi metaforici e non.

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La mia prima volta (L’anima)

<- La mia prima volta
<- La mia prima volta (La vita)

Ricordo la prima volta come se fosse appena accaduta. I suoi capelli erano mossi, castano chiari, ricordo che a far scattare il tutto fu un ricciolo sbarazzino sulla fronte, si staccava dal resto dei capelli per spingersi fiero verso il centro e risalire. Quel ricciolo aveva attratto la mia attenzione, sembrava richiedere tutta la mia attenzione, sembrava volere che la mia attenzione si concentrasse solo su di lui quasi ignorando il resto della figura che lo portava. Avevo tredici anni ed eravamo a scuola nell’aula magna, non ricordo esattamente per cosa fossimo lì perché la mia attenzione era rivolta altrove. Non avevo idea di chi fosse perché era in un altra classe ma quel ricciolo spavaldo era in qualche modo un simbolo nella mia testa, il simbolo che avrebbe scatenato tutto il resto.

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La mia prima volta

La prima volta che lo feci non sembrava nulla di che. Alla fine lo facevano tutti, o almeno lo facevano le persone che io ritenevo le più intelligenti, le più sensibili, quelle di cui preferivo circondarmi. Ero un ragazzo, eravamo tutti ragazzi e sembrava una cosa figa.
Provi. Tanto hai tutta la vita davanti, anzi ai tuoi piedi. Perché a quell’età non hai idea di cosa sia la vita ne davanti ne dietro, sai cos’è l’oggi, l’adesso. Il domani è tuttalpiù il tempo che ti separa tra l’adesso e un evento interessante. Non sapevo che un giorno sarebbe diventato il tempo che mi separava tra l’ultima volta e la prossima, niente altro.
Il gioco è stato divertente, me lo ha proposto Marco e mi sono chiesto “cosa succede se provo? Cosa se non provo?”. L’unica risposta che mi sono dato è che se non lo avessi fatto sarei stato uno sfigato, che Marco non mi avrebbe considerato all’altezza.

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Gene Cernan Apollo 10

“Io sono riuscito a camminare sulla Luna. Cos’è che non puoi fare tu?”.

Ieri se ne è andato uno dei miei miti, Gene Cernan. In pochi lo ricordano di fronte ai più blasonati Neil Armstrong o Buzz Aldrin, ma lo ricordo con grande affetto. Ho sempre trovato affascinante l’epoca dei pionieri dello spazio, forse l’ultima grande conquista dopo Cristoforo Colombo: salire su una navicella poco più grande di te ed andare là dove nessun’uomo è mai stato prima, lontano centinaia di migliaia di km da terra senza possibilità di recupero.
Lo si ricorda come “L’ultimo uomo a camminare sulla luna” ma ha fatto parte del piccolo gruppo di Astronauti che vi camminò fin dal primo giorno, fu il secondo americano ed il terzo uomo in assoluto a camminare liberamente nello spazio con la missione Gemini 9 per effettuare una serie di esercizi e di prove di macchinari all’esterno della nave, successero cose che abituati alla fantascienza non ci aspetteremmo come l’appannarsi della visiera e il non avere appigli sufficientemente ergonomici per portare a termine la missione.

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Racconti

Non portarmi con te ad un concerto, non sarò lì.

Sono stato a non so quanti concerti nella mia vita, e non so con quante persone nel tempo, nello spazio, tra le dimensioni.
I concerti per me si dividono in due macro categorie, la prima è quella in cui vado ad ascoltare musica, la seconda è quella in cui vado a incontrare musica.
Oggi sono qui, la folla mi attornia, di fronte a me una ragazza dai capelli ricci mi ricorda qualcuno, si muove come immersa nel mondo del suono, la vedo sorridere pur non vedendone il volto e ne riconoscerei il sorriso. Accanto a me una vecchia amica con cui condivido una passione del tutto musicale e di ricordi di mare, di monti, di tramonti Corsi e dell’odore di quel fuoco, e di fonte a lei immancabilmente la donna più alta del mondo a spostarsi ovunque lei vada. Due donne nascondono il loro affetto reciproco che non è d’amicizia pura e tra rockers e persone raffinate la folla si mescola in caleidoscopiche combinazioni di colori e di volti, persone si muovono all’unisono pendendo dalle labbra di una cantante non più così giovane come un tempo ma d’una carica immensa, ed io lì al centro di un mondo fino.

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Risposte

Nelle notti insonni e nella trascendenza di viaggi interiori dovuti a meditabondi mal di testa pochi pensieri pulsano al ritmo stesso del battito delle vene, la tua vita non durerà a lungo, ancor meno se continuerai a strapparne pezzi a morsi, ma chi vorresti infine quel giorno accanto?
Una persona.
Molte.
Forse nessuna.
Questa stessa è la risposta di molte domande, quali non importa neppure saperlo.

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"Luna? Si, ci siamo andati!"

È disponibile da oggi l’edizione completa del libro “Luna? Sì, ci siamo andati!”, che affronta e smonta con i fatti, una per una, le principali tesi di chi sostiene che gli sbarchi umani sulla Luna furono una messinscena e chiarisce i dubbi di chi ha sentito parlare di queste tesi e vuole capire come stanno realmente le cose per non farsi fregare dai contaballe spaziali.

Il libro è anche un’occasione di conoscere meglio l’epopea dei viaggi spaziali con dovizia di dettagli e di chicche curiose e poco conosciute.

“Luna? Sì, ci siamo andati!” è scaricabile gratuitamente in formato PDF senza lucchetti digitali anticopia (DRM): è legalmente copiabile e distribuibile secondo la licenza Creative Commons riportata nel testo. Lo scopo del libro è far conoscere i fatti, non farmi diventare ricco.

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Parallelismi 4

Scrivere per me è come camminare, passo passo, come viaggiare.
Inizia un progetto, anzi no, inizia un passo che può essere una poesia, un racconto, una singola frase, e poi intravedo il secondo, non lo vedo, non so come sarà ma lo intravedo, talvolta ne intravedo diversi altri.
E mi incammino.
Ad un certo punto mi trovo talvolta, non sempre, a conoscere la meta dove arriverò, ma mai la strada, solo qualche passo, i prossimi passi.
Una volta scrissi una frase, parlava di un uomo che fuggiva immobile da un albero, ci vollero sette anni per raggiungere la meta e completare quell’idea, tre per capire dove sarebbe andata a parare.
Passo passo,
passo passo.
Un giorno mi venne in

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Thinking Day

« Il modo vero di essere felici è rendere felici gli altri. Prova a lasciare questo mondo un po’ meglio di come l’hai trovato e, quando arriva il tuo momento per morire, tu puoi morire felice nel sentire che in ogni caso non hai perso il tuo tempo ma hai fatto del tuo meglio. »
B.P.

Il 22 febbraio di 152 anni fa a Paddingto nacque un uomo, un uomo semplice.
Era il 185 in famiglia e fra amici veniva chiamato Stephe ma il suo nome completo era Robert Stephenson Smyth Powell, il sesto figlio di otto del reverendo Baden Powell il quale morì però tre anni dopo.
Quando Robert aveva 12 anni, sua madre, con

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I Ponti di Madison County

Robert, c’è una creatura in te che io non ho la capacità di tirare fuori e neppure raggiungere. A volte ho la sensazione che tu esista da un’infinità di tempo e abbia vissuto in luoghi segreti che il resto di noi non si è mai neppure sognato. Mi spaventi, anche se con me sei gentile. Se non lottassi per mantenere il controllo quando sono con te, credo che potrei perdermi e non ritrovarmi mai più
Seppure oscuramente, lui sapeva di cosa stava parlando, ma era a sua volta incapace di metterlo a fuoco. fin da bambino, quando viveva in una piccola città dell’Ohio, aveva avuto di questi pensieri vaghi, un malinconico senso del tragico combinato con una grande potenza fisica e intellettuale. Mentre gli altri ragazzini cantavano Row, Row, Row Your Boat, lui imparava la melodia e il testo inglese di una canzone da cabaret francese.

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