Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

Trippers at Project Caffè

Tempo di lettura 2 minuti
Sabato sera abbiamo fatto un’altra serata con i Trippers.
Devo ammettere che questa volta è andata bene, ci sono ancora piccoli errori, imprecisioni, incomprensioni istantanee da sistemare con l’esperienza, ma da parte mia ho annullato quel che in precedenza mi pareva un disastro.
Sarà stato che questa volta prima di suonare mi sono preso il tempo di “tonificare l’ispirazione”, sarà l’unica prova che abbiamo fatto dopo il concerto precedente… ma ho avuto modo di improvvisare maggiormente, reinterpretare i miei stessi arrangiamenti, scegliere in un brano di non fare più nulla di ciò che facevo normalmente e dedicarmi ad effettistiche sonore, un buon passo verso la sperimentazione che mi è tanto cara.
Abbiamo tentato di registrare tutto, la qualità audio di registrazione questa volta sarebbe stata davvero ottima, ma purtroppo ho avuto un problema col computer… ma abbiamo imparato, quindi ai prossimi concerti faremo delle registrazioni ben fatte.
Mi accorgo di due cose però, la prima è che Verona probabilmente non è adatta a certi generi di musica e i locali credono che i musicisti siano agenzie pubblicitarie, credo che il problema non sia “non vi chiamo più perché non portate abbastanza gente” ma credo sia “non vengo più a suonare qui, perché il non avete un pubblico adatto al nostro genere”
La seconda è che sto diventando artisticamente autistico.
Uno degli artisti italiani che stimo di più in assoluto è John De Leo,”famoso” per essere stato il cantante dei Quintorigo, gruppo che ha però lasciato da qualche tempo. John sul palco è davvero strano.
Nonostante conosca i testi che canta il più del tempo suonando lo passa guardando il leggio, non guarda mai il pubblico, come ne fosse intimorito, benché le performance, e l’estremismo del canto che propone, lo sperimentalismo che propone dimostrano ampiamente che non solo non teme il pubblico ma ne ama le reazioni, l’emozione. A maggior dimostrazione del fatto che non teme il pubblico sono le battute che ogni tanto fa quando parla al microfono, sempre senza guardar troppo il pubblico. Sempre con lo sguardo evasivo.
Credo di stare diventando mio mal grado un po’ così.
Sarà il fatto che oramai da tempo non c’è più nel pubblico una Musa, una specifica singola persona a cui dedicare ogni nota (chiunque sia questa persona di volta in volta), sarà il genere di musica più intimista rispetto ai generi che ho fatto in passato ma ho l’impressione di suonare un po’ più per me e un po’ meno per il pubblico, un po’ più come pensare che come parlare.

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