Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

La porta del paese delle meraviglie – Parte quarta

Tempo di lettura 5 minuti

Mi trovavo lì, immobile, alle mie spalle un mondo, di fronte una porta verso un altro, l’istinto urlava dentro urlava fuori urlava di chiuderla per sempre.
L’istinto posò la mia mano, il palmo della mia mano sulla superficie di legno marrone liscio freddo. La pelle del mio palmo caldo sul freddo del legno liscio marrone. Il cuore batteva forte ma calmo ma forte ma calmo batteva il cuore.
Mentre i muscoli del mio braccio iniziavano a tendersi lievemente prima della spinta il mio sguardo cadde oltre la fessura tra la porta ed il nulla e fu quello il momento in cui cambiarono le cose, cambiò la scelta.
Guardai nella fessura che c’era tra la porta, priva di stipiti, e il rettangolo che ne definiva le dimensioni. Sul lato in cui era aperta lasciava vedere il pavimento nero e lucido della stanza all’esterno -o all’interno, non saprei dire- nella mia mano destra il bicchiere tremò un secondo ed abbassai la sinistra allontanando il palmo mentre le mie dita di riflesso si piegavano lievemente tremando.
Dietro di me infuriavano i pappi dei pioppi come in una bufera senza vento, infuriavano e cadevano e volavano e imbancavano ancora.
Guardai la mano abbassarsi come fosse quella di un altro, come se fosse quella di un automa.
Indugiai ancor una volta a guardare come la porta non avesse spessore vista di lato e cessasse di esistere vista da dietro, come il buco da cui avrei potuto passare fosse tale solo visto di fronte. Poi aprii la aprii del tutto, bevvi d’un fiato il contenuto del bicchiere, lo posai a terra accanto ed  attraversai il passaggio.
Mi parve che la stanza oltre la porta avesse delle lampade in fila sul soffitto, mi parve vi fosse una enorme quantità di porte attorno ma mi sentii un secondo mancare, mi girò la testa come quando si è ubriachi e le porte improvvisamente si allinearono come fossero state una visione sdoppiata di una sola riflessa sul pavimento, le lampade scomparvero anch’esse e tutto divenne il riflesso del passaggio della luce proveniente dalla porta, ed io al centro del riflesso a barcollare.
Un pappo volava e per un’istante sembrò un gigantesco cristallo di neve, vi vidi dentro prima la forma frattale tipica di un cristallo, poi tornò ad essere quello che era ma al centro vi era un piccolo omino appeso come ad un ombrello volante, mi parve di conoscerlo ma poi lo scordai. Lo vidi allontanarsi avanti lontano da me, in direzione retta fino a scomparire.
Mi ripresi solo quando alle mie spalle scomparve silenziosamente la luce e ne scomparve il riflesso. Ero in un ambiente piuttosto buio, la flebile luce che mi permetteva di vedere era diffusa e non proveniva da una direzione, mi voltai a guardare e vidi un grande specchio, una porta a specchio con la maniglia sulla destra, ma questa volta con gli stipiti.
Provai a ruotare la maniglia ma sembrava inamovibile.
Girai attorno e vidi che non era invisibile e priva di spessore come lo era stata dall’altro lato, il retro era un pannello di ebano perfettamente liscio, senza il segno degli stipiti ma già immaginavo si sarebbe comunque aperta in qualche modo pur non muovendo l’ebano stesso. In basso sembrava raccordarsi perfettamente al pavimento con una lieve curva passando dall’ebano all’ossidiana del pavimento perfettamente liscio e lucido.
Tornai di fronte allo specchio e mi fermai ad osservarmi al centro. Fu quello il momento in cui mi accorsi di non ricordare il mio volto, di non sapere che volto o che corpo aspettarmi di vedere. Avevo l’impressione di essere stato un ragazzino ma ora mi vedevo adulto, le rughe sul viso davano l’idea di una persona ancora giovane ma segnata dal passato o forse dal presente. Le occhiaie scure dicevano che non dormivo da molto, ma in effetti da quanto tempo ero qui? E dove era questo qui? I capelli rasati e radi erano brizzolati come la barba con il pizzo lungo ed i baffi arricciati all’inglese, portavo una giacca elegante blu con finissime righe bianche su una camicia azzurra e dei jeans un po’ troppo sportivi per le scarpe marroni eleganti che indossavo. Dalla tasca della giacca usciva la catenella di un orologio a pendolo ma mentre provavo ad estrarlo mi spostai leggermente di lato e la mia immagine cambiò, in modo veloce ma uniforme come se i tratti somatici cambiassero in modo continuo mi ritrovai a guardare l’immagine di un coniglio bianco in doppio petto con in mano un orologio da taschino, un coniglio in qualche modo antropomorfo ma pur sempre un coniglio. Mi spostai nuovamente al centro e tornai uomo adulto, mi spostai a sinistra e divenni coniglio, mi spostai ancora a sinistra e il coniglio divenne progressivamente una ragazzina, prima il volto e poi il corpo si trasformarono, mi sovvenne un nome, Alice credo, ma era solo come quando un ricordo fa capolino e poi per timidezza si ritira senza mostrarsi. Rimasi a guardarla un attimo in precario equilibrio, ricordavo di averla sognata, averla rincorsa o era solo un parto della mia mente? L’immagine riflessa di un desiderio?
Mi sbilanciai e mentre facevo perno su un piede per riprendere una posizione di equilibrio mi spostai ancora più a sinistra e vidi alla mia destra qualcosa accadere.
Comparve un ragazzino delle elementari, comparve fisicamente, accanto a me e guardava lo specchio. In quel punto ero ruotato di circa 45 gradi rispetto alla sua superficie e quindi potevo perfettamente vederne il riflesso accanto al mio riflesso, erano l’immagine della stessa persona, o di me forse, di me come forse stavo ricordandomi. Portavo i capelli corti, con la riga da un lato, addosso avevo un grembiule blu da scuola elementare, le scarpe erano nere di vernice e le calze lunghe arrivavano poco più in basso del ginocchio, poco più in basso del blu. Mi mossi leggermente più a destra e tornò Alice e scomparve i bambini, sia quello riflesso che quello apparentemente fisico che il riflesso di questo. Mi spostai più a sinistra di quanto fossi prima ma il mio riflesso usciva dal campo visivo, così tornai a far comparire i tre bambini, i due riflessi e quello con un corpo. L’ultimo lo vidi allontanarsi dandomi le spalle come non si fosse accorto di me, camminava di sbieco rimanendo sulla linea dei quarantacinque gradi e feci lo stesso, era come un irrefrenabile istinto a spingermi a farlo, camminai diversi metri prima di girarmi di scatto, e quando lo feci vidi che lui stesso si era girato al contempo e mi osservava, faceva i miei stessi movimenti, identici. Provai ad uscire dalla linea che avevo seguito, mi spostai poco più avanti e poco più indietro, lui si spostava con me e quando non eravamo sulla linea lui scompariva.
Tornai seguendo lo stesso percorso fino allo specchio, lui mi seguì imitandomi come fosse il mio riflesso o come se io fossi il suo. Tornati allo specchio rimanemmo ad osservarci qualche minuto e poi allungammo la mano come per toccarci, ci fermammo un istante prima della linea immaginaria che ci avrebbe permesso di toccarci, poi allungammo la mano e ci attraversammo come fantasmi.
Toccai invece la maniglia della porta, e la ruotai.

Disclaimer su racconti e poesie

Tutto ciò che leggi qui dentro è una libera rielaborazione di vissuti, sogni e immaginazioni. Non rispecchia necessariamente la mia realtà. Se chi legge presume di interpretare la mia vera persona, sbaglia. Se chi legge presume che tutto sia inventato, sbaglia parimenti. Se tu che leggi mi conosci, leggimi come leggeresti uno scrittore sconosciuto e non chiederti altro di diverso di ciò che chiederesti di questo.

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