Sempre di più, sempre più spesso si stanno ripetendo eventi di questo genere in rete. Si tratta di Cyberbullismo. Non è molto diverso da quello di cui ho parlato in passato (https://short.staipa.it/4bdv2) e sui cui temi, per chi lo volesse, propongo anche qualche evento su chiamata (https://short.staipa.it/zswjq). Il solito trito e ritrito bullismo di cui tutti hanno sentito parlare un milione di volte e di cui tutti sanno l’esistenza pur se spesso lasciandolo proseguire per inerzia.
C’è qualcosa di diverso però da come era il bullismo qualche anno fa, perfino di come era il Cyberbullismo, anni fa. La differenza sostanziale è che tu che stai leggendo, io che sto scrivendo, il giornalista di turno, perfino il telegiornale, perfino la paginetta social del paesino locale non sono più solo complici silenziosi che stanno a vedere e non muovono un dito e che stando zitti permettono all’atto di bullismo di procedere. Tu che stai leggendo, io che sto scrivendo, i media, chiunque condivida, discuta, rielabori, scriva su alcuni temi, ci trasformiamo direttamente nei carnefici inconsapevoli, nei bulli più o meno consapevoli.
Non sfogando la nostra rabbia, frustrazione, o giudicando qualcuno, ma anche solamente discutendo e riportando la notizia in un luogo virtuale dove altri ne abbiano accesso. O commentandola.
Non mi metterò a riportare i casi, tanto chiunque stia leggendo avrà in mente cosa è accaduto in questi giorni, o avrà in mente casi passati o futuri quando questo articolo verrà riletto, e varrà così fino a quando questo articolo diventerà totalmente incomprensibile. Se questo avverrà (e non avverrà) vorrà dire che il fenomeno sarà scomparso e che le persone avranno imparato ad usare consapevolmente queste tecnologie.
Quello che accade è che un evento, una situazione, un commento, una foto, un video diventano improvvisamente virali, diventano improvvisamente di pubblico dominio in una maniera dirompente -l’affermazione corretta sarebbe “diventano disruptivi“- questo genera una pioggia di commenti, spesso da persone che criticano e giudicano la situazione, e questo ne amplifica la visibilità. Ne parlavo paragonando questo genere di fenomeni alla vita del vecchio bar di paese quando scrivevo de La percezione della realtà nei social (https://short.staipa.it/6p4y1). In qualche modo si può pensare che questo sia un meccanismo normale, solamente ingrandito dalla presenza su Internet, e dalla condivisione sui social, ma è così solo in parte.
Se ci limitiamo a questo assunto ci sentiamo assolti in molti. Troppi perché si possano comprendere e mettere nella giusta prospettiva alcune situazioni e finiamo quasi sempre per derubricare i casi eclatanti, come i suicidi di chi ci finisce in mezzo, a fatalità, a colpa degli haters, o a colpa di animi fragili che in qualche modo hanno finito per cercarsela. Assolverci ci fa sempre sentire bene, ci fa sentire un po’ migliori dei colpevoli che ci circondano, se poi riusciamo a sentirci migliori anche delle vittime il bias è fatto.
Cosa sfugge in questo ragionamento semplificato? Sfugge che ognuno di noi ha un ruolo. E se prima dell’era dei social i ruoli potevano dividersi in vittima, bullo e osservatore e la bilancia poteva (e doveva) essere regolata dai numerosi osservatori, ora tutto è molto più complesso. I ruoli sono diventati almeno tre: vittima, bullo, condivisore, osservatore. Posto che io non sto scrivendo in questo momento né alle vittime, né ai bulli, il difficile è scegliere come posizionarsi tra gli ultimi due ruoli, il condivisore e l’osservatore. Per farlo è necessario comprendere meglio come funzioni oggi il veicolare delle notizie.
Intanto i due ruoli:
Condivisore: si tratta di chi (volontariamente o meno) contribuisce al fatto che una determinata notizia diventi virale (disruptiva)
Osservatore: si tratta di chi vede la notizia e la lascia passare senza schierarsi, condividere, opporsi o sfruttarla in qualche modo
I social network (ma anche i media tradizionali come la televisione e i giornali) campano su quello che ritengono essere di interesse dei loro utenti. Se si parla molto di qualcosa, quel qualcosa viene amplificato maggiormente per produrre guadagni da quell’audience. Non importa come se ne parli, ma importa che se ne parli. Questo dovrebbe essere il primissimo elemento che dovremmo avere in testa quando ci approcciamo a determinate notizie. Condividi la notizia? Stai dicendo che vuoi che se ne parli di più. Commenti la notizia? Stai dicendo che vuoi che se ne parli di più. Metti una reazione sulla notizia? Stai dicendo che vuoi che se ne parli di più. Commenti criticando la vittima? Stai dicendo che vuoi che se ne parli di più. Commenti criticando i bulli e difendendo la vittima? Stai dicendo che vuoi che se ne parli di più.
Non condividi, non commenti, non metti reazioni? Stai dicendo che quel tema è di scarso interesse e non ti interessa se ne parli. Bada bene, non stai dicendo che non vuoi che se ne parli, ma solo che non è di tuo interesse. Non solo, ti stai spostando dalla parte dell’osservatore, di quello che vede ma non si schiera e non difende la vittima.
Il problema è tutto qui. Se un tempo l’osservatore poteva in qualche modo diventare difensore, nella attuale situazione di uso dei social network l’osservatore può quasi solo peggiorare la situazione o lasciarla tale. Perché anche commentando per difendere la vittima il rischio è quello di scatenare ulteriori visualizzazioni, ulteriori bulli, ulteriori haters.
E quindi? Meglio fingere che nulla stia accadendo che schierarsi per difendere qualcuno? Io non ce l’ho una risposta e probabilmente di volta in volta, di caso in caso io stesso scelgo un comportamento differente perché anche avere una risposta prefissata sarebbe una semplificazione scorretta. Il pensiero critico, l’uso consapevole della tecnologia, non hanno necessariamente una risposta univoca ma sono una ricerca di un modo diverso di pensare e di ragionare, appunto maggiormente consapevole. Scegliere un’azione nella consapevolezza di quali conseguenze questa azione possa portare e non lasciandosi trasportare dal puro impeto del momento.
Quello che resta è che è anche colpa nostra quando qualcuno lontano si uccide, o anche solo soffre, a causa della nostra partecipazione alla viralità –disruptività– di una notizia che lo riguarda. È importante esserne consapevoli, è importante rendersi conto che la goccia nell’oceano, funziona nel bene, ma funziona anche nel male e se tante gocce se ne stessero semplicemente zitte, talvolta, qualcuno potrebbe non morire.
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