Oggi sono andato a correre. È stato strano. Mi sembrano secoli che non andavo a correre al tramonto, forse mi ricorda un po’ quella volta che al tramonto sono andato a camminare con lei, con i capelli del colore del sole, ma da quello sembrano passati millenni. C’era quell’atmosfera di freddo pungente che si contrappone al caldo del mio corpo e di caldo del mio corpo che si contrappone al freddo dentro. Una sensazione strana, mi ricorda di quella volta in cui sono stato investito.
Questo lo ricordo come fosse ieri. Sono sensazioni che difficilmente scivolano via dall’anima, te le porti dentro comunque vada.
Quel giorno credevo fosse uno come un’altro, avrei dovuto andare a correre il giorno dopo ma sarebbe stato un mese da che mi frequentavo con Lei. Avrei dovuto andare a correre il giorno dopo ma quel giorno non avevo di meglio da fare se non correre, sfogare il corpo e l’anima, tornare a casa, cucinare per Lei che mi avrebbe raggiunto più tardi.
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Tag: movimento
Sull’emozione pt.2
“Le emozioni sono l’esclusione di alcune funzioni del cervello rispetto ad altre.” Si tratta di una semplificazione enorme, forse. Ma forse potrebbe essere una focalizzazione al limite del perfetto. Questa frase l’ho sentita in questi giorni mentre camminavo e vivevo il mondo.
Secondo Treccani l’emozione è:
emozióne s. f. [dal fr. émotion, der. di émouvoir «mettere in movimento» sul modello dell’ant. motion]. – Impressione viva, turbamento, eccitazione: l’e. della vincita, di quell’inatteso incontro; le e. del viaggio; andare in cerca di nuove e.; essere in preda all’e., a un’intensa e.; essere preso, essere sopraffatto dall’e.; la forte e. gli impediva di parlare. In psicologia, il termine indica genericamente una reazione complessa di cui entrano a far parte variazioni fisiologiche a partire da uno stato omeostatico di base ed esperienze soggettive variamente definibili (sentimenti), solitamente accompagnata da comportamenti mimici.
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La paura di fallire
Fallire. Il mondo è zeppo di paura di fallire, di provare a fare qualcosa e non arrivarci in fondo. Fallire in uno sport in cui non sei sicuro di eccellere, fallire provando ad imparare a suonare uno strumento musicale, fallire un esame all’università, fallire la scelta degli studi, fallire in un rapporto di coppia, fallire un colloquio di lavoro, fallire l’organizzazione di un viaggio ambizioso, fallire un’attività lavorativa, fallire nello scrivere un libro, fallire nel dichiarare il proprio affetto, fallire nel coltivare un fiore, fallire nel fare un dolce. Fallire.
Fallire fa paura.
Io l’ho fatto un milione di volte. L’ho fatto anche oggi. Anche ieri. Sono abbastanza sicuro che lo farò anche domani, ormai mi conosco abbastanza per conoscere dove andrò a schiantarmi miseramente, come mi sentirò, quale sarà il livello di sofferenza.
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Toccare il fondo.
Toccare il fondo.
Lasciarsi andare e toccare il fondo abbandonando ogni certezza.
Toccare il fondo pinneggiando in giù fino a quando ti manca l’aria, senza bombole, senza nulla.
Toccare il fondo, quella sabbia laggiù nel buio, nel nulla nell’acqua fredda -nera- che ti blocca il respiro il cuore, l’anima. La pressione sui polmoni che spinge.
Toccare il fondo.
Quella sabbia bianca laggiù nel buio riflette la luce del sole.
Quando il tuo sogno più grande si spezza perché lo hai preso sotto gamba, quando perdi tutte
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Voglio viverlo.
Le tue sopracciglia si alzano leggermente, forse neppure un millimetro mentre le tue labbra si allargano forse ancora meno. Le sopracciglia iniziano ad alzarsi e, prima che l’impercettibile movimento sia terminato, le labbra iniziano quel movimento. Di tutto il tempo passato assieme questo è quello che continua a ripetersi nei miei occhi quando li chiudo.
Un movimento infinitesimo, impalpabile ma quel tanto da rendere i tuoi occhi più grandi il tuo volto più disteso quando dico qualcosa che ti stupisce, che ti fa un po’ ridere.
Ce n’è anche un’altro di movimento, credo di avertelo visto fare una sola volta ed è il movimento contrario, altrettanto infinitesimo, di quando dico qualcosa che ti contraria. L’incresparsi minimo della pelle tra gli occhi, il tendersi infinitesimo dei muscoli della mascella.
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La mia prima volta (Il sangue)
<- La mia prima volta
<- La mia prima volta (La vita)
<- La mia prima volta (L’anima)
Ricordo la prima volta come se fosse appena accaduta. I suoi capelli erano lunghi fino quasi a metà schiena castano scuro, lisci e morbidi. Tendevano a stare con la riga in mezzo come li aveva tenuti probabilmente per anni ma la sua mano continuava a scompigliarli dandole un movimento fluido e compatto posizionandoli ogni volta in maniera diversa. Ricordo perfettamente il bianco chiaro del suo corpo, la sua pancia piatta ma morbida di quel lieve strato di adipe che ogni donna dovrebbe avere, ricordo parte di me scivolarle liquida sulla pelle della pancia ed entrare nell’ombelico fino a farlo traboccare e poi scendere di lato accanto all’osso del bacino. Lentamente. Fu quello probabilmente a scatenare il tutto di ciò che avvenne successivamente.
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Come cambierà la mia vita
Ci sono persone che riescono a farti odiare le cose che ami di più, rivolgerle e sconvolgerle di inettitudine, incapaci neppure di rendersi conto della propria incapacità e di essere un danno per chi li circonda, convinte di salvare il mondo che stanno prendendo a calci nel culo fino farti capire che il mondo è degli inetti e che per chi ha una testa non c’è luogo.
Ci sono persone che riescono a farti amare le cose che odi di più, a spingerti a credere che l’impossibile non esiste, che è l’impegno a rivoltare il mondo, cambiarlo, farlo progredire, che i limiti sono fatti per essere superati che nel mondo sono gli inetti che
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La legge della conservazione del moto
La legge della conservazione del moto mi ha sempre affascinato. Una volta l’ho vista tatuata sul braccio di una ragazza e per qualche decina di minuti l’ho trovata una cosa affascinante, non tanto il fatto che fosse la legge della conservazione del moto ma il fatto che fosse una ragazza con tatuata una formula di fisica. Avrei voluto chiederle il perché l’avesse tatuata e forse sarebbe stato un ottimo modo di attaccare bottone ma fortunatamente qualcuno prima mi ha tolto di impiccio chiedendolo al mio posto. Lei la trovava una cosa particolarmente romantica, suo moroso studiava fisica e glie lo aveva proposto e la formula aveva un significato molto bello, solo che non lo sapeva spiegare. Prese il telefono e cercò su wikipedia per spiegarlo. Lo trovai molto romantico, un po’ come se mi tatuassi la faccia di Derek Shepherd perché mia morosa adora Grey’s Anatomy.
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Il pensiero e la tascendenza visti come quarta dimensione
Mi sono sempre chiesto come esprimere il concetto di dimensioni fisiche aggiuntive a quelle che sperimentiamo quotidianamente, come spiegare a qualcuno di non avvezzo a tali teorie cosa possa essere una quarta dimensione o più. Lasciamo perdere come di consueto il fatto che una quarta dimensione, il tempo, la percepiamo ogni istante seppure non siamo in grado di interagirvi come con le altre e chiamiamo quarta una ulteriore “direzione” che non sia altezza, lunghezza o larghezza.
L’esempio classico che ho sempre usato è funzionale e semplice ma non permette di vivere in prima persona una rappresentazione di quarta dimensione, l’ho preso dalla spiegazione classica che viene fatta nella divulgazione scientifica, a partire da Stephen Hawking, passando per romanzi di fantascienza come Sfera di Michael Crichton al geniale Flatlandia di Edwin Abbott Abbott che ho già citato altre volte.
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Le sfiorò le mani
Era una serata come un’altra, come mille o come nessuna. Attorno le auto in movimento erano poche, finite le feste la gente era ormai stufa di andare in centro ed era il momento giusto per frequentarlo prima che alla gente tornasse la smania degli acquisti grazie ai saldi.
Era in piedi, era ormai il momento di salutare gli amici dopo una serata piacevole seppur breve, s’era parlato di ogni cosa, di forse e di ma e di certo e di altro ed ancora. Una serata come altre. Di fronte a lui a ridere e parlare un vecchio amico, e due nuove e la distanza frapposta della novità, del non essere nella zona di confort seppure confortato da una situazione piacevole.
Lui le sfiorò le mani. Voleva sentire solo la consistenza di quei guanti di pelle morbida e niente altro. Lui le sfiorò le mani e mentre le sfiorava le mani il mio sguardo cadde su quelle quattro mani, sulle due a stringere le altre due, e sullo sguardo di lui.
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Immemori battaglie pt6: Da dove proveniva il lampo. Da dove proveniva il tutto.
Da dove proveniva il lampo?
Sono sicuro di aver premuto io il grilletto, ho sentito anche il botto.
Ma allora perché sono riuscito a vedere così bene il volto dell’uomo dall’altra parte, a vederne l’uniforme? Era identica alla mia.
Era identica alla mia.
Il buio è tornato e gli occhi abbagliati dal lampo, forse dai lampi mi impedisce di guardare ancora quell’uomo ma sento il fischio di un proiettile nella mia direzione, tra pochi decimi di secondo sentirò il botto provenire dalla direzione di quell’uomo se non mi sto sbagliando e l’unico movimento che riesco a fare e quello per toccare la tasca sinistra e vedere che lì c’è ancora il nuovo feticcio che potrei non consegnare più. Che non avrei mai consegnato comunque.
Poi come un tarlo nella testa sento un dolore cupo avanzare tra i pensieri, qualcosa che scardina ogni altro pensiero, inaspettato.
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Ora
Non avevo mai compreso fino a quel momento ciò che mi dicevano degli uomini, non avevo mai compreso fino a quel momento ciò che volesse dire umanità. Ero giunto in questo mondo per vie che voi non comprendereste, ero giunto in questo mondo per mezzo di ciò che voi chiamereste dolore, di ciò che voi definireste sofferenza. Non le conosco, non ancora, queste cose, non mi appartengono questi termini. Ero giunto in questo mondo come ognuno giunge al proprio, un istante prima non esistevo, il successivo ero qui con una storia davanti ed una dietro, un puntino in movimento su di una linea infinita pronto ad andare avanti nel tempo e non tornare mai indietro. Come tutti voi.
Avevo sentito i vostri cuori battere e visto i vostri occhi inumidirsi, avevo sentito parlare di cose che non comprendevo, avevo sentito dire che la mia storia era triste, che ero forte, che sentirla e vedere qualcuno superarla rendeva felici ma non conoscevo queste parole, non avevo mai vissuto nulla di ciò che sentivo raccontare.
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