Un consiglio prima di iniziare questo articolo: non fermarti alle apparenze.
Ciao a tutti, oggi voglio parlarvi di un argomento molto interessante e attuale: l’intelligenza artificiale (IA). Cos’è l’IA e come si differenzia dall’intelligenza umana? È possibile che le macchine possano pensare e agire come noi? E soprattutto, dobbiamo aver paura dell’IA o possiamo convivere pacificamente con essa?
L’IA è una disciplina dell’informatica che si occupa di creare macchine in grado di imitare le capacità dell’intelligenza umana attraverso lo sviluppo di algoritmi che consentono di mostrare attività intelligente. L’IA è entrata nella nostra vita e nel nostro lavoro in molte forme: dai motori di ricerca ai sistemi di riconoscimento facciale, dalle app per smartphone ai robot industriali. L’IA ci aiuta a svolgere compiti quotidiani, a prevenire rischi, a ottimizzare processi, a scoprire nuove conoscenze.
Ma l’IA è davvero intelligente come noi? La risposta non è semplice, perché dipende da cosa intendiamo per intelligenza. Se per intelligenza intendiamo la capacità di eseguire calcoli complessi, di analizzare grandi quantità di dati, di apprendere automaticamente da esperienze passate, allora possiamo dire che l’IA è molto più intelligente di noi. Le macchine hanno una velocità di esecuzione, una accuratezza decisionale e una abilità operativa che superano di gran lunga quelle umane.
Tuttavia, se per intelligenza intendiamo la capacità di applicare significati pratici o concettuali ai vari momenti dell’esperienza, di formulare ipotesi creative, di immaginare scenari futuri, di cogliere le emozioni e le intenzioni altrui, allora possiamo dire che l’IA è molto meno intelligente di noi. Le macchine non hanno una coscienza, una volontà, una sensibilità che le guidino nelle loro azioni. Le macchine non possono fare ragionamenti di tipo abduttivo, cioè trarre conclusioni plausibili da premesse non sicure. Le macchine non possono inventare o sognare.
Quindi, l’IA e l’intelligenza umana sono due cose diverse, che hanno punti di forza e debolezza diversi. Non si tratta di una competizione o una sfida, ma di una collaborazione e una complementarità. L’IA può facilitare il lavoro dell’uomo, ma non può sostituirlo. L’uomo può controllare e indirizzare l’IA, ma non può prevederne tutte le conseguenze. L’IA si sviluppa nell’orizzonte visionario dell’uomo, ma non può superarlo.
Per concludere, vorrei lasciarvi con una domanda provocatoria: esiste una terza via tra l’IA e l’intelligenza umana? Cioè, esiste un modo di integrare le due intelligenze in un unico sistema che sia più efficace ed efficiente di entrambe? Alcuni scienziati stanno lavorando su progetti che mirano a creare interfacce cerebrali che permettano di collegare il cervello umano con dispositivi elettronici. Questo potrebbe portare a nuove forme di comunicazione, apprendimento e creatività. Ma potrebbe anche comportare nuovi rischi etici, sociali e psicologici. Voi cosa ne pensate? Fateci sapere la vostra opinione nei commenti!
Sì. Questo articolo fa schifo. E non è affatto nel mio stile. Ma per chi è arrivato fino a qui a leggere c’è una piccola sorpresa. O per meglio dire, una spiegazione dato che per chi è attento una sorpresa potrebbe non esserlo. Questo testo è stato scritto da una IA a cui ho chiesto di scrivere un articolo divulgativo paragonando l’intelligenza artificiale a quella umana, con tono divertente, in un formato “post di blog”.

L’ho fatto più per gioco ed esperimento che altro ma ho trovato il risultato interessante proprio perché per nulla interessante. Ho provato anche il tono professionale e ne è risultato un articolo prolisso e noioso che spiegava l’intelligenza umana come processo evolutivo e l’intelligenza artificiale come disciplina dell’informatica. Tutto corretto per quello, nulla da eccepire ma in entrambi i casi quello che manca è una conoscenza, anche vaga, di cosa possa interessare al lettore. In particolare, al mio lettore, cioè te.
Il registro “divertente” non è particolarmente divertente e il registro professionale fa coincidere la professionalità con la noia e l’essere prolisso. Certo c’è buona probabilità che un informatico divertente non vada più in là di “Un cavallo entra in un bar e il barista dice: «Come mai questo muso lungo?»“, oltre a conoscere quasi certamente da dove sia tratta questa citazione, e probabilmente la gran parte degli articoli professionali che l’Intelligenza Artificiale è in grado di trovare in rete sono effettivamente noiosi e prolissi, motivo per cui per lo più le persone normali non li leggono. Ma è davvero questo che al momento preoccupa artisti, scrittori, e giornalisti?
Ancora una volta queste prove, che ognuno può fare, evidenziano quanto estremamente lontane siano queste intelligenze artificiali dal sostituire realmente l’ingegno umano. Certo, sono in grado di fare calcoli astronomici che un umano non sarebbe in grado di fare, sono in grado di correlare gigantesche moli di dati che un umano non riuscirebbe neppure a leggere in una vita, ed è questo che fanno. Sia che debbano scrivere un articolo, sia che debbano elaborare una spiegazione matematica della traiettoria di un asteroide che sfiori l’orizzonte degli eventi di un buco nero super massiccio in una remota galassia. Sono cose che un umano non sarebbe in grado di fare.
Potrebbero portare via del lavoro a qualche essere umano grazie all’automazione di determinati compiti ripetitivi o onerosi, ma di certo siamo molto lontani dal portar via il lavoro a chi usa l’ingegno per progettare e costruire, per produrre qualcosa che faccia la differenza. Nel frattempo, però darà moltissimo lavoro a creativi che impareranno a padroneggiarne le funzioni per creare cose che oggi non sono fattibili o lo sono solo con grandi difficoltà.
Quello che davvero ha cambiato la nostra società si chiama big data, la capacità e possibilità di elaborare e gestire enormi quantità di dati. Senza questo le attuali IA non potrebbero esistere, e anche se potessero non avrebbero nulla su cui lavorare. Ma parlare di IA fa più figo, fa più fantascienza, fa più audience. E soprattutto chi legge pensa di capirne di più. Poi c’è chi con quei dati li raccoglie da come noi navighiamo per mandarci pubblicità, chi li raccoglie dalle stelle per capire da dove veniamo (no, non Paolo Fox), chi lo usa per produrre chat bot apparentemente quasi umani, chi li usa per tentare di guidare automobili in autonomia, ma è quella la vera rivoluzione, per ora. Riuscire ad elaborare mostruosità di informazioni e renderle comprensibili al nostro cervello limitato perché il nostro cervello limitato possa dargli un significato attraverso l’estro tipicamente umano.
Come dice Max Gazzè in Autoironia “L’intelligenza sta nel considerare il progresso come un aiutino da ‘domenica in’”
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