Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

L’uomo nero

Racconti Tempo di lettura 2 minuti

Non riesco a capire.
Qualcosa è cambiato, ma non focalizzo se a cambiare sia stato il mondo, lentamente, o la mia mente. Cammino, mi guardo attorno e vedo cloni, cloni di cloni, e altri cloni. Guardo il volto delle persone, i vestiti, i movimenti, gli argomenti. Cloni, cloni di cloni ed altri cloni.
Ogni persona che incontro, ogni persona con cui parlo, inaffidabile, presa dai pensieri di qualcosa che crede essere solo un suo problema ma che è identico ai finti problemi di tutti quelli che lo circondano, incapace di mantenere parola o attenzione. Manca il tempo, manca il tempo. Sembra che tutti vivano conquistati dagli uomini grigi di Momo di Ende. Un libro che oggi tutti dovrebbero leggere, ma che basterebbe leggesse uno perché uno è uguale a tutti. Almeno ho questo sospetto.
Non riesco a focalizzare.
Non capisco se ieri il mondo non fosse così, se sia cambiato nel tempo lentamente o se sia io ad essere cambiato.
Mi sento soffocare in questo mondo, mi sembra di giocare a carte all’uomo nero, o “la veccia”, quel gioco di carte in cui nessuna carta seppur diversa ha un valore, nessuna carta è diversa dalle altre tranne una. Non dico di sembrare quella carta diversa, ma la sto cercando, disperatamente.
Corro, corro senza fiato in questo mondo, ho un mazzo di carte, lo sfoglio, giro ogni carta, la guardo ed il volto è lo stesso, il vestito lo stesso, le parole che dice le stesse, provo a parlare a dire cose che smuovano l’anima “eretico, eretico” è il coro, “eretico” l’unica risposta.
Mi chiedo cosa sia cambiato, se sia una evoluzione od un’involuzione, mia o del mondo. O semplice stabilità. Pochi giorni fa ho il ricordo di aver avuto qualcuno accanto, qualcuno speciale, o forse era anni fa, poi l’ho guardato in volto ed era un clone, come gli altri cloni, cloni di cloni di altri cloni.
L’immagine è come svegliarmi con accanto uno di questi che smarrito s’allontani ed esca di casa in silenzio ed io a guardarmi allo specchio, ma non ricordo il mio volto, non ricordo di essermi guardato, non ricordo neppure se sia vero che sia accaduto, o che accanto a me ci sia stato qualcosa che non fosse un clone, non ricordo neppure se i miei ricordi siano reali o siano essi gli errori. Non mi sono mai ritenuto migliore o peggiore, ma fiero di sentirmi diverso, comune ma diverso o anche questo è un ricordo perverso innestato da chissà quale errore virus o malore. Non riconosco generi o colori o differenza alcuna tra ognuno di quelli che incontro, non riconosco.
Non riconosco.
Ad ognuno se chiedi come va la risposta è un freddo “bene.” se chiedi della famiglia “bene.” se chiedi del lavoro “bene.” e poi ognuno inizia con il proprio monologo argomentale da cui non si può uscire, né interagire, né discutere, né argomentare a propria volta. Il tema uno solo, l’unica cosa che differenzia un clone dall’altro è il tema. Niente altro.
Non ho più il fiato di correre, le gambe, le dita stanche alla ricerca di una carta che non trovo, scorrere avanti, indietro ancora ed ancora alla ricerca.
Ricordo un tempo di averne avute altre, in un cassetto e guardandole scopro che sono ancora identiche a tutto, a tutto.
Poi infine vado allo specchio e guardo il mio volto, mi chiedo come sto: “bene.”, come va al lavoro: “bene.” e mi siedo.

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Disclaimer su racconti e poesie

Tutto ciò che leggi qui dentro è una libera rielaborazione di vissuti, sogni e immaginazioni. Non rispecchia necessariamente la mia realtà. Se chi legge presume di interpretare la mia vera persona, sbaglia. Se chi legge presume che tutto sia inventato, sbaglia parimenti. Se tu che leggi mi conosci, leggimi come leggeresti uno scrittore sconosciuto e non chiederti altro di diverso di ciò che chiederesti di questo.

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