C’è una frase che da mesi torna nei dibattiti online, nei notiziari, nei talk show e persino nei post dei social più innocenti: “Chi critica Israele è antisemita”.
Ed è qui che si apre uno dei più pericolosi cortocircuiti del nostro tempo, una confusione alimentata da chi ha interesse a nascondere la realtà dietro le parole. Perché essere antisemiti e essere antisionisti non solo non sono la stessa cosa, ma sono in realtà posizioni profondamente opposte.
Cosa significa essere antisemiti?
L’antisemitismo è una forma di odio razziale e religioso.
Si basa sul pregiudizio e sulla discriminazione verso le persone ebree in quanto tali. È lo stesso veleno che ha portato alle leggi razziali del ’38, ai pogrom, alla Shoah. È la convinzione assurda e pericolosa che un’intera popolazione, un intero popolo, sia “inferiore”, “manipolatore”, “maligno” solo per la propria origine o fede.
Essere antisemiti significa odiare qualcuno non per ciò che fa, ma per ciò che è.
E il sionismo, allora?
Il sionismo è un’ideologia politica, nata nel XIX secolo, che sosteneva il diritto degli ebrei a costituire uno Stato nazionale in Palestina.
Una proposta storicamente complessa, che può essere discussa e analizzata come tutte le ideologie. Ma nel tempo il sionismo si è trasformato: da movimento per l’autodeterminazione a giustificazione sistematica di un progetto coloniale, fondato sull’esproprio, sulla discriminazione, e –come stiamo vedendo oggi– sulla violenza.
Criticare il sionismo non è odiare gli ebrei.
È opporsi all’uso di un’identità –quella ebraica– come scudo ideologico per legittimare crimini contro un altro popolo.
Il contesto: dall’attacco di Hamas alla risposta israeliana
Il conflitto attuale ha avuto inizio il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa contro Israele, denominato “Operazione Alluvione Al-Aqsa”. In quell’occasione, circa 1.200 persone sono state uccise, principalmente civili, e oltre 250 sono state prese in ostaggio. Tra le vittime si contano anche 36 bambini.
Questo attacco è stato un evento tragico e senza precedenti nella storia recente di Israele, scatenando una risposta militare massiccia da parte del governo israeliano.
Tuttavia, la reazione di Israele ha sollevato gravi preoccupazioni a livello internazionale per la sua sproporzione. Secondo il Ministero della Salute di Gaza, fino a gennaio 2025, oltre 46.000 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza, con più di 110.000 feriti. Di queste vittime, circa il 59% erano donne, bambini e anziani.
Questi numeri evidenziano una disparità significativa tra le vittime israeliane dell’attacco iniziale e le perdite palestinesi causate dalla risposta militare. È fondamentale riconoscere che, mentre l’attacco di Hamas è stato un atto di violenza condannabile, la risposta israeliana ha avuto conseguenze devastanti per la popolazione civile di Gaza, un vero e proprio genocidio.
Dovremmo essere tutti antisionisti?
Sì, se il sionismo attuale si concretizza nell’oppressione sistematica di milioni di persone, nella demolizione di case, negli arresti arbitrari, nei bombardamenti su civili, nel controllo totale della vita quotidiana dei palestinesi.
Essere antisionisti, in questo senso, non è solo legittimo: è necessario.
È prendere posizione contro un potere che uccide, umilia, devasta.
Esattamente come ci aspettiamo che si faccia in qualunque altro contesto in cui c’è un aggressore e una vittima.
Esempio: il bullismo
Immagina una scuola.
C’è un ragazzino, piccolo e magro, che ogni giorno viene preso a spintoni, insultato, chiuso in bagno da un gruppo di compagni più forti. Un giorno, dopo mesi di soprusi, reagisce: colpisce uno dei bulli, prova a difendersi come può, magari fa anche del male in quel momento. Ma la reazione della banda di bulli è violentissima: iniziano a pestarlo ogni giorno con ancora più ferocia, e chiunque provi a difenderlo viene zittito con la frase:
“Attenti a quello che dite su di me, perché io sono stato vittima in passato, anche mio nonno è stato bullizzato”.
È vero. Il bullo ha una storia di dolore. Ma non per questo ha il diritto di far soffrire qualcun altro. E chi gli fa notare la violenza non lo fa per odio, ma per giustizia.
Lo stesso meccanismo vale per il potere coloniale e militare di Israele contro la popolazione palestinese. Chi protesta non è “contro” i forti in quanto tali, ma contro il loro abuso di potere e la sproporzione della risposta.
Non è una guerra tra religioni
Un altro mito da sfatare: non stiamo assistendo a un conflitto strettamente tra ebrei e musulmani.
Molti ebrei nel mondo –inclusi intellettuali, attivisti ebrei israeliani– si dichiarano apertamente contro il sionismo e contro le azioni del governo di Tel Aviv. Al tempo stesso ci sono cristiani, musulmani, atei e laici tra i difensori del popolo palestinese.
Questa non è una guerra di religione.
È un conflitto politico e coloniale tra un oppressore armato fino ai denti, sostenuto da gran parte dell’Occidente, da noi quindi, e un popolo disarmato, intrappolato, senza vie di fuga.
La fallacia logica che alimenta la confusione
Alla base della confusione tra antisionismo e antisemitismo si nasconde spesso una fallacia logica precisa: la fallacia della falsa equivalenza (short.staipa.it/9da6e), o dell’ambiguità semantica. Si tratta di un errore di ragionamento che consiste nel trattare due concetti diversi come se fossero la stessa cosa.
Nel nostro caso, si confondono deliberatamente:
- l’identità ebraica (etnico-religiosa),
- l’ideologia sionista (politica),
- lo Stato di Israele (nazionale e militare).
Questa confusione permette di accusare di antisemitismo chiunque critichi Israele o il sionismo. Ma è come dire:
- “Se critichi la mafia, odi i siciliani”,
- “Se critichi la Chiesa, odi i cristiani”,
- “Se critichi il governo cinese, sei razzista verso i cinesi”.
È un trucco retorico: spostare il discorso dall’etica all’identità, trasformando una legittima accusa politica in un attacco razzista. È una forma di silenziamento, non di argomentazione.
L’importanza delle parole
Confondere antisemitismo e antisionismo è pericoloso.
Significa silenziare il dissenso.
Significa dire a chi denuncia un crimine: “Stai insultando un intero popolo”.
È falso, e serve solo a proteggere chi detiene il potere.
Schierarsi è necessario
Oggi non possiamo più essere neutrali. Davanti a decine di migliaia di morti, bambini sotto le macerie, ospedali bombardati, l’indifferenza è complicità.
Essere antisionisti significa dire: nessun popolo può costruire la propria sicurezza sulla distruzione di un altro.
Essere antisemiti, invece, è un crimine morale. È odiare un gruppo di esseri umani per la propria identità. È quello che abbiamo giurato di non ripetere mai più dopo Auschwitz.
Chi confonde le due cose o non ha capito, o sta deliberatamente proteggendo l’ingiustizia.
E allora sì, dobbiamo schierarci. Non contro una religione. Non contro un popolo. Ma contro l’idea che la forza giustifichi tutto, anche il genocidio.
Lascia un commento