I sali essenziali de’ gli Animali possono essere in tal guisa preparati e conservati,
che un Uomo d’ingegno custodisca nel suo Studio un’intera Arca di Noè,
e a suo piacimento possa resuscitare la Forma perfetta d’un animale dalle relative Ceneri.
In virtù dell’istesso procedimento un filosofo può,
senza macchiarsi di criminale negromanzia,
richiamare alla vita uno qualunque dei suoi predecessori,
facendolo sorgere da’ sali essenziali e dalla polvere in cui il corpo fu a suo tempo consumato.H.P. Lovecraft -Il caso di Charles Dexter Ward-
Non avrei mai pensato a quali risultati la mia ricerca avrebbe portato né quali drammatici eventi avrebbe riesumato dalle tenebre dopo quasi un secolo. Avrei potuto pensarci dato lo stato di conservazione perfetto della bambola ma ero accecato dal desiderio, come spinto da una forza superiore, è stato giusto ne pagassi le conseguenze. Tutto è iniziato quando da ragazzo lessi per la prima volta Il caso di Charles Dexter Ward di H.P. Lovecraft. Non che ci abbia mai creduto, ero convinto si trattasse per lo più di fantasia, ma l’idea di riportare in vita qualcuno credo sia un sogno che attraversa tutti noi almeno una volta nella vita. Il mio era quello di riportare alla vita mia nonna.
Ho avuto la fortuna di nascere in un periodo storico ricco di novità e sull’orlo di un cambiamento tecnologico che ci ha permesso di avere letteralmente tra le mani la conoscenza dell’uomo o almeno i mezzi per trovarla e consultarla. Ho visto nascere Internet quando ero un ragazzino ed ho avuto la fortuna di vederla crescere da strumento per pochi a rivoluzione tecnologica, a rivoluzione sociale, fino al deperimento di oggi in cui le informazioni si trovano solo scavando tra infinità di foto da egocentrici, opinioni di ignoranti e falsità. La chiamo fortuna perché conservo il ricordo di come si usasse la rete prima dei social network e di come si faccia sondarne gli anfratti per trovarne il vero. Mio padre è stato un uomo forte e solido di sani principi. Nato alla fine della seconda guerra mondiale ha conosciuto la depressione, quella economica, ed ha saputo guidarmi e crescermi, rendermi curioso di scoprire e supportarmi durante la mia di depressione, questa volta non certo economica. Tra le curiosità che mi ha trasmesso probabilmente la più grande è quella verso la nostra storia.
Mio padre crebbe presso una struttura come orfano di guerra, anche se non si sa con certezza se lo fosse davvero. Sua madre, mia nonna, morì di parto dandolo alla luce e di lei si sa solo che gli aveva lasciato una casa in eredità, di suo padre invece non si sa nulla anche se forse la sua eredità è rimasta chiara nel nostro DNA. Entrambi, io e mio padre, abbiamo dei tratti somatici particolari, potrebbero essere di origini mediorientali, forse ebraiche. Certo potremmo averli ereditati dalla nonna ma in tal caso probabilmente non avremmo ereditato la casa e forse non saremmo neppure nati dato il periodo in cui è vissuta.
Di fatto quello che sappiamo delle nostre origini è nulla.
Compiuti i diciotto anni mio padre è tornato a vivere nella casa in cui è nato, una signora del paese l’aveva tenuta pulita e l’aveva arieggiata regolarmene in attesa del momento in cui sarebbe di nuovo stata abitata. L’unica cosa che questa donna ci trasmise, casa a parte, fu l’amore con cui nonna era ricordata. Quando provai a chiederle qualcosa relativa a mio nonno le risposte erano tutte un
– L’è passà massa tempo, son vecia! Sa vuto che me ricorda? –
mentre le domande relative a nonna ricevevano solo risposte su quanto fosse buona, su quanto la sua vita fosse stata difficile, su come abbia sbagliato fin da piccola con gli uomini ma mai nulla di specifico. Ovviamente anche mio padre aveva interrogato lei ed altri del paese quando non erano ancora abbastanza vecchi da usare la vecchiaia come scusa ma l’immagine del nonno è sempre rimasta avvolta nel mistero e nei segreti.
La casa di nonna è la stessa dove mio padre ha vissuto con mia madre e dove poi io sono cresciuto. I mobili e gli elettrodomestici sono stati rinnovati negli anni, le mattonelle sostituite da un elegante parquet in legno, la soffitta controllata, svuotata e riadattata a studiolo. Dei tempi passati restano ormai solo le pareti in pietra e un piccolo mobile di legno intarsiato su cui poggia una teca di vetro e nella teca una piccola bambola di ceramica. È vestita con un abito che potrebbe essere da battesimo, bianco e con del pizzo ed ha un enorme fiocco bianco sulla fronte. I capelli sono raccolti dietro la schiena in due trecce e il trucco è forte con le guance rosa scuro e le labbra marcatamente rosse. Nella parte posteriore alcune piccole macchie marrone scuro. Mi ha sempre fatto impressione. Forse per lo sguardo triste o lievemente spaventato o forse perché non sono mai stato abituato a bambole di questo genere. Mi è sempre parsa fuori luogo e se possibile evitavo di restare in quella stanza da solo. Mio padre diceva che dovevamo tenerla, era l’unica cosa che gli rimaneva di sua madre.
Gli chiesi diverse volte perché quella bambola dovesse essere così importante da essere l’unico oggetto rimasto di una donna adulta, ma non sapeva rispondermi.
L’idea di provarci sul serio mi venne ormai una decina di anni fa. Se davvero quella bambola era appartenuta a mia nonna era possibile vi fossero ancora tracce di lei. Sono cresciuto nell’epoca di Jurassic Park e della ricerca biomedica ma l’idea di riportare in vita una persona dal suo DNA per quanto irrealizzabile rimaneva insensata per il semplice fatto che una bambina nata dalle stesse cellule non avrebbe avuto i ricordi della donna adulta che aveva generato mio padre. Lessi per la prima volta del viaggio che Lovecraft sembra fece nel 1925 nel Polesine, poco distante da dove sono nato e cresciuto, il viaggio da cui sembra possa aver tratto le idee niente di meno che per il suo Ciclo di Cthulhu traendone ispirazione dai Racconti del Filò, racconti locali su mostri ibridi tra uomo e pesce. Mi chiesi se ne trasse ispirazione o se piuttosto trovò conferma delle teorie che stava scrivendo sotto forma di racconti. Non scrisse forse che di Cthulhu si parlasse in ogni luogo del mondo in forme diverse e in diverse leggende? Mi misi a studiare dettagliatamente i suoi racconti, cercarne le fonti, capire se contenessero parti di verità e quali. Mi chiesi soprattutto da dove trasse ispirazione per Il caso di Charles Dexter Ward. La risposta più ovvia fu Salem, la cita più e più volte nel romanzo stesso e lì doveva stare la spiegazione di tutto. Cominciai a studiare il caso del famoso processo alle streghe del 1692 e trovai le dichiarazioni della schiava Tituba sul coinvolgimento di diversi animali negli atti di stregoneria dell’epoca.
Fu immediato leggendole tornare all’incipit del racconto che stavo studiando “I sali essenziali de’ gli Animali possono essere in tal guisa preparati e conservati, che un Uomo d’ingegno custodisca nel suo Studio un’intiera Arca di Noè,e a suo piacimento possa resuscitare la Forma perfetta d’un animale dalle relative Ceneri.”
Tituba parlò di credenze e superstizioni di origine europea mescolate alle proprie di origine caraibica ma nonostante avesse confessato un omicidio, fosse schiava e di colore non fu processata né condannata, semplicemente se ne persero le tracce. In un paese in cui le streghe ree confesse venivano abitualmente impiccate alla voce di «Non lascerai vivere colei che pratica la magia» (Esodo 22:17)? Tituba il cui nome significa espiare o senza fine in lingua yoruba. La mia ricerca si accese di speranze e proseguì di fatto quasi trasformandomi in quel Charles Dexter che aveva rievocato il proprio avo. Io stesso scordando di temere i pericoli di quello che stavo provando a realizzare.
La rete mi diede non solo il modo di raccogliere informazioni ma anche di sapere dove trovare le informazioni che non contiene, visitai negli stati uniti la biblioteca di un paese vicino a Salem, di cui non voglio riferire il nome perché nessuno mi segua sulla quella strada. Trovai i tasselli che mi avrebbero portato in dieci anni di ricerca al risultato che volevo ottenere. O almeno ad essere in grado di ottenerlo. La bambola rimase rinchiusa in quella teca dove è ancora fino a quel giorno. La estrassi solo qualche minuto cercandone le tracce della bimba che l’aveva posseduta, e trovai con un misto di gioia e di orrore che le piccole macchie marroni non erano che sangue coagulato. Ne grattai via il più possibile e la rimisi nella teca prima effettuare il rito che avrebbe dovuto portarmi a conoscere il mio passato.
Non era il sangue di mia nonna. Fu solo quando ne vidi il volto, i denti storti sporchi, i capelli sporchi e sudici avvicinarsi improvvisamente a me, quando lo sentii dentro, quando la mia mente si mescolò alla sua che compresi, quando divenni l’uomo che avevo evocato. Compresi che non avrei conosciuto il mio passato, né la storia dei miei avi.
Improvvisamente mi ritrovai catapultato nel 1935, ero povero e solo. Nella mia testa scorrevano vite. Era come se dentro di me ci fossero infinite altre anime e voci e ricordi. Era come se fossi stato molti e fossi appena diventato nuovamente uno. Provavo un unico desiderio davanti ad un altare che non conoscevo, davanti a un rito che non ricordavo. Uscii dalla chiesa in cui mi trovavo e corsi per chilometri cercando di fuggire al mio desiderio, di fuggire le pulsioni che dal basso mi spingevano. Mi masturbai. Mi masturbai ancora ma non passava, quel desiderio non passava. Compresi tutto quando vidi una bimba giocare con una bambola bianca di ceramica, compresi tutto guardandomi violentarla senza pietà. Piangevo, e godevo, e soffrivo. E non voglio raccontare oltre. So per certo che quella bambina, divenuta donna non giocò mai più con quella bambola, lasciandola intonsa se non per alcune piccole macchie di sangue ma mi chiedo perché la conservò. So che mi presero solo due anni dopo mentre uccidevo un’altra bimba innocente, so che mi linciarono e mi appesero ad un albero per il collo, dove quando smisi di dondolare gli uccelli mi cavarono gli occhi.
Con orrore mi ritrovai precipitato nel mio tempo e nel mio corpo, consapevole di aver vissuto mille vite e incerto di quale fosse la mia. Con la stessa sete che avevo vissuto nell’uomo che aveva violentato mia nonna. Avevo solo una cosa da fare. Una sola. Trovai il taglierino che avevo usato per grattare via il sangue e con quello mi sgozzai.
Ora sono qui. Nel tuo corpo e non so per quale motivo tu abbia scelto per evocarmi, attraverso quale desiderio io sia passato ma so che voglio vivere. Essere. Continuare.
Io ora sono te.
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