Sono sempre stato un vorace lettore di Stephen King, lo amo e l’ho amato per le storie, per il modo di scrivere e per lo sguardo antropologico che spesso i suoi romanzi contengono. Quando molti anni fa ho letto Insomnia provavo un piacere divertito nella sua descrizione drammaticamente reale del movimento antiabortista americano. Una affermazione in particolare mi era rimasta impressa:
“Noi non siamo antiabortisti, noi siamo per la vita!” proruppe Dalton “C’è un enorme differenza, che voi giornalisti evidentemente non riuscite a vedere!”
La trovavo ridicola. Avevo sì e no diciassette anni e pensavo quanto fossero fuori di testa gli americani. Poi pensandoci bene avevo giustificato quel personaggio pensando “Ok, ok, è sicuramente un esagerazione di King. Non può essere davvero reale, soprattutto non potrebbe mai diventare reale dove vivo io.”
Invece no. Invece a Verona, proprio dove abito io la città viene dichiarata dalla giunta comunale “Città a favore della vita” (https://goo.gl/oeCkCz). La città in cui vivo si trova a schierarsi contro una legge 194 approvata ormai quarant’anni fa, si trova a scegliere di finanziare associazioni cattoliche affinché facciano proselitismo contro l’aborto, contro la libera scelta, contro i diritti che le donne hanno lottato per ottenere, diritti per cui molte sono morte, hanno subito violenze, continuano a subire violenze.
“Noi non siamo antiabortisti, noi siamo per la vita!”
Ma contro la libertà di scelta, il libero arbitrio (posto che questo esista), contro la vita di molte donne che fanno una scelta, non certo a cuor leggero, motivata da cose che solo loro possono conoscere.
“Noi non siamo antiabortisti, noi siamo per la vita!” è probabilmente molto simile quello che raccontava la chiesa ai tempi dell’inquisizione quando accendeva una pira sotto i piedi di Giordano Bruno o quando scomunicava Galileo Galilei o quando bruciava o affogava le centinaia di streghe che tanto per cambiare erano quasi sempre donne. “Non siamo <mettici quel che vuoi>, noi siamo per la vita!”.
Ho paura. Ho paura di essere in un mondo che un tempo mi divertiva leggere perché simulava una paura lontana. Ho paura di essere in un mondo che si credeva passato ma che infine non è mai morto. Ho paura che gli incubi su cui si costruivano storie su eventi del passato stiano diventando nuovamente il nostro futuro.
Ho paura perché finché stiamo a guardare, finché accettiamo supinamente, finché non ci impegnano a lottare litigare con il nostro vicino di casa, collega, amico, conoscente perché queste cose non esistano neppure per scherzo, il mondo continuerà ad essere sempre lo stesso che credevamo superato. Lo stesso che guardando il medioevo ci fa credere di essere superiori.
Siamo ancora lì.
Incapaci di smuoverci, di guardarci dentro.
Incapaci di amare, ma capaci di fingere che il nostro odio sia amore.
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