Fu quello il momento in cui sentì il cane. Non lo sentì arrivare, non stava abbaiando. Stava ancora osservando la bambina dall’altra parte della rete, dall’altra parte del giardino, dall’altra parte del mondo, in un altro mondo. Il cane lo sentì sulla caviglia, sentì prima l’alito caldo poi il naso umido che risaliva la gamba sulla stoffa della tuta grigia. Aveva il terrore dei cani e se avesse anche solo immaginato che al di là della rete, al di qua ormai, ce ne fosse stato uno non si sarebbe mai avventurato. Sentì il naso del cane risalire fino alla propria vita, doveva essere davvero grande. Il terrore lo attanagliò. Non aveva preso in considerazione questa eventualità e non aveva idea di come comportarsi. Eppure non aveva sempre saputo che dall’altra parte ci fosse un cane? O erano più di uno? I grandi dicevano sempre di stare fermo. Se stai fermo il cane resta tranquillo. I cani sentono la paura. Sentono se hai paura. Dicevano anche questo però. I cani sentono la paura. Quanto tempo sarebbe dovuto rimanere immobile? Abbastanza perché le mastre si accorgessero che era scappato vanificando tutto? Abbastanza che il cane decidesse che la paura c’era e quindi valeva la pena assaggiare un pezzo di bambino impaurito? Sentì il muso del cane tastargli prima il sedere e poi infilarsi al di sotto della felpa. Il naso era caldo. Umido, quando il cane respirava il bambino sentiva il vapore scaldare la pelle. Si mise a correre a perdifiato, a correre lontano verso la direzione opposta alla scuola. Non aveva idea se il cane lo stesse seguendo, se lo stava facendo lo stava facendo in silenzio. Lo capì quando sentì poco dietro la caviglia il suono secco di fauci che si chiudono, e solo dopo un ringhio breve e un abbaio.
Un ringhio breve ed un abbaio. Trovò il coraggio di guardarsi alle spalle ed il cane meno grande di quanto gli fosse sembrato correva alle sue spalle. Un cane di una razza indefinibile dal pelo mediamente lungo e nero brizzolato. Correva con la lingua fuori dalla bocca quasi a penzoloni a pochi centimetri dalle gambe. Doveva guardare avanti per non inciampare ma doveva guardarsi dietro per non farsi raggiungere. Vide le fauci stringersi e mancarlo e po impattò contro qualcosa di morbido.
“Ehi ragazzino, che ci fai qui?” disse la voce di un uomo gigantesco. Non che fosse gigantesco davvero ma rispetto al bambino lo era. Lo aveva preso in braccio ed il cane dal basso saltava e abbaiava. Saltava e abbaiava.
“Che ci fai qui?” ripeté la voce. Non era cordiale. Non era per nulla cordiale.
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