Non è necessario siano dodici i gradi,
è l’umidità che conta,
il vento e l’aria elettrica di ora,
sono le sere in cui non c’è davvero freddo ma senti comunque i brividi,
che ti verrebbero anche se ti coprissi,
che mentre sei fermo a fare benzina o passeggi con un gelato in mano senti gli oggetti tintinnare
e ti guardi attorno come dovesse succedere qualcosa,
come se dietro le ombre si potessero nascondere altre ombre,
le sere in cui ti siedi in macchina e senti un profumo che non può essere lì come se accanto ci fosse stata Lei,
come se mentre eri girato tra le ombre fosse passata davvero un ombra o una luce un’istante.
La sua pelle,
l’odore la sua pelle,
l’odore del profumo sparso sulla sua pelle.
E vorresti prendere e fuggire,
prendere e rincorrere,
prendere e come in una ruota da tortura spaccarti in due per seguire le tue folli parti,
la tua razionalità ed il desiderio,
la follia,
e vorresti farti trovare là dove non devi,
dove potresti al massimo far trovare dei fiori come in passato,
dove non saresti accolto o lo saresti troppo
dove ogni movimento sarebbe frainteso o forse profondamente compreso,
dove ogni movimento, parola, istante sarebbero vere quanto lo sono su un palco,
poco per chi non sa e troppo per chi conosce.
Ed il vento scompiglia i tuoi capelli,
ed il freddo che non c’è congela ogni tuo muscolo impedendoti di muoverti,
di essere,
di aspirare,
di respirare,
di pensare se non che quel profumo è così reale,
reale tanto da bruciare i polmoni,
tanto da far tremare le mani,
reale tanto da.
E poi d’un tratto come un orgasmo che muore riprendi la tua strada e cerchi di dimenticare,
vai avanti lasciandoti seduto in un angolo da qualche parte nella tua testa,
lasciandoti seduto a fare quello che vuoi fare, non importa ma fallo da solo, fallo senza di te, fallo lontano che tu devi andare avanti, avanti, avanti sempre ancora.
Vai.
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