Sono tornato da pochissime ore a questa “realtà”, al nostro comune mondo reale, alla comodità, alla Casa.
Casa… in questi giorni quante volte a noi volontari è venuto spontaneo nominare la parola casa?
Là non ci sono case.
Ci sono tende, di tende ce ne sono quante ne volete, ma case, no, quelle sono finite mi spiace.
Ho passato una settimana nella tendopoli di Civitatomassa, un piccolo paese di provincia, con persone amiche tra loro, cresciute assieme, persone che si conoscono poi mi è stato chiesto di restare con almeno parte della mia squadra a Piazza D’Armi la tendopoli più grande, più famosa, più mediatica.

Potrei scrivere per ore delle persone stupende incontrate, delle stupende squadre di cui ho fatto parte, del lavoro magnifico di alcune associazioni quanto di quello pessimo di altre, dell’importanza strategica di Agesci e di mille altre cose, potrei parlare delle tante poesie scritte, della pioggia, del sole, potrei parlare dei ragazzi che laggiù danno il sangue per aiutare quella gente, potrei parlare del suo sguardo, potei parlare degli amici incontrati, dei rapporti, di infinite cose, potrei forse scriverne libri, potrei parlare delle case crollate che ho visto, del crollo delle istituzioni con i palazzi, delle macerie, di quell’accappatoio ancora appeso, della stanza della piccola Francesca. Centinaia di foto accumulate nel mio computer, nei miei ricordi.
Ma non sono queste le cose che contano, non sono queste immagini mediatiche, non sono i sentimenti che contano quello che conta è la gente che sta laggiù.
La gente che non sta male per aver perso la casa, non sta male per aver perso gli amici, non sta male per aver perso qualcosa se non per aver perso il futuro, la vita.
Gente di trent’anni che si guarda intorno e non c’è neppure un’industria in cui chiedere di lavorare, il Mac Donald e il cinema sembrano le uniche due cose in piedi la sopra. Le multinazionali ovviamente, come sempre.
La gente che si lamenta perché il mondo laggiù non è come nei telegiornali, perché la ricostruzione laggiù non sta procedendo spedita come qualche politico vuole farci credere, laggiù i giornalisti dormono in albergo e dicono che la gente sta bene, laggiù i giornalisti raccontano le storie che hanno deciso di raccontare, laggiù i giornalisti ti intervistano per raccontare quello che loro hanno già scritto.
L’emergenza Abruzzo non è finita e non finirà tra tre mesi, la gente laggiù tra tre mesi sarà in tende, sarà a camminare cento metri per farsi una doccia e a L’Aquila tra tre mesi farà freddo, freddo davvero e non ci sono previsioni alcune di chiusura dei campi, di agibilità delle case, di ricostruzione reale, di container, casette di legno.
Come sempre quello che ci viene raccontato non è vero, quello che la TV propone è un bel polpettone di falsità, e li ho visti io quei giornalisti parlare davanti alle telecamere, ho visto la gente dietro le quinte protestare per le falsità raccontate in TV, ho visto tante cose, tante cose, e parlato con molta molta gente e ciò che ora penso è che certe persone dovrebbero parlare di meno e fare di più. Quelle persone che hanno i mezzi e li sfruttano solo per farsi pubblicità dovrebbero parlare di meno e fare di più, dovrebbero dormire per tre mesi in quelle tende, usare per tre mesi quei bagni, mangiare in quelle mense e dopo tre mesi dovrebbero provare l’emozione di sentirsi dire che devono restarne altri tre e che finiti quelli chissà… per ora non ci sono prospettive sicure, lo si vedrà col tempo, che si… insomma il futuro forse tornerà…. si in futuro….
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