
Il giardino è grande, grande davvero eppure…. eppure pian piano nell’erba due ricci si avvicinano tra loro.
Si allontanano, ognuno nella sua parte di giardino, ognuno con le sue cose.
Uno intento rotolar sulle foglie gialle e rosse autunnali, infilarle, raccoglierle, catalogarle, comporre nuovi disegni, nuove sculture e rappresentazioni, cammina, si muove un po’ goffo di qua e di là dondolando sulle zampette corte, pof pof pof… poi vede una foglia che gli piace, e ci rotola sopra, la porta alla sua tana e poi comincia a scuotersi fino a sganciarla, a volte le rovina, a volte le tiene stupendamente, non importa, è più divertente così, e poi di foglie ce ne sono tante, che importa! Però prima o poi troverà la foglia più bella, farà la composizione più bella, realizzerà qualcosa, cosa non lo sa.
L’altro riccio anche lui passeggia qua è la per la sua zona di giardino, non ci sono solo due zone, il giardino è grande e c’è posto per tanti, tanti, tanti altri animali, e anche per due ricci.
L’altro riccio dicevo passeggia nella sua zona, si guarda intorno e segue gli uccellini in volo. Guarda sempre in alto, li osserva e quando gli uccellini saltellano sui rami li osserva saltare, li ascolta, ascolta il loro canto, ogni tanto tra i rami vede correre qualche scoiattolo o qualche piccolo animale, quando corrono fanno spesso cadere le foglie, trova così bello quando uno scoiattolo correndo tra i rami li piega e fa cadere una piccola pioggia di foglioline che scendono lente! Allora corre e cerca di mettersi su due zampe per toccarle col naso prima che tocchino terra. La cosa più bella è quando invece di scendere foglie cadono le samare dagli aceri, quei semi con l’aletta attaccata che quando si staccano dal ramo ruotano ruotano ruotano fino a toccare terra. Diventa quasi imprevedibile dove cadranno e il riccio lentamente e goffamente dondola alla ricerca di dove andranno a finire, per toccarle al volo col nasino tondo, pin pin pin pin si muove qua e la, a volte cerca anche di fare un piccolo balzo ma la natura non l’ha dotato di questo dono.
Ogni tanto però questi due ricci, uno rotolando l’altro col musino all’insù si ritrovano uno accanto all’altro, osservano la stessa foglia, uno mentre sta cadendo, l’altro mentre è già a terra, e poi si guardano timidamente.
A volte uno, a volte l’altro si avvicina da un annusatina. Quasi sempre l’altro si richiude timido, forse spaventato chissà, si arrotola su se stesso e mostra gli aculei. Qualche volta quando proprio le cose non vanno bene punge pure il malcapitato come gli avesse fatto chissà cosa e quest’ultimo scappa.
Il riccio pungitore però poi ci pensa, ci pensa, ci pensa e gli spiace, poi… poi torna a rotolar sulle foglie, o a guardare sui rami i piccoli animali.
E così continua la vita, come niente fosse, o forse qualcosa si, ma continua, così, ognuno nelle proprie faccende affaccendato.
Poi, poi pian piano una foglia che cade più in là, un colore più bello di qua… ancora i due ricci si trovano uno in fronte all’altro, di sorpresa, ancora, come un filo li legasse in qualche modo, come un sentiero disegnato, sognato, immaginato li portasse in ogni caso lì, come non potessero non ritrovarsi ogni tanto accanto.
Si ritrovano uno in fronte all’altro e si osservano un istante, uno azzarda un timido sorriso, l’altro risponde, uno si avvicina un po’, gira intorno all’altro, l’altro si lascia osservare, si lascia guardare, si fermano di nuovo uno in fronte all’altro, poi uno si fa coraggio e col nasino spinge dolcemente il muso dell’altro e… e questo d’improvviso si chiude, mostra le spine, ed una spina si pianta sul musetto ancora sorridente del primo riccio il quale fugge via pensando non tornerò mai più qui.
Non è sempre lo stesso a pungere, non è lo stesso ad essere punto. A volte uno a volte l’altro. Comunque sia il pungitore timido resta ancora lì per un po’ chiuso, poi pian piano si schiude, lentamente. Si guarda attorno e si scopre nuovamente l’unico riccio presente. Si guarda un po’ intorno quasi sperando di non esser solo, passeggia un po’ e se ne torna alle sue cose pensando chissà perché, chissà che cosa, pensando e se fosse stato… pensando.
E ancora tante foglie sono sparse sul prato, e ancora tante foglie cadono dagli alberi che le stanno perdendo, poi pian piano viene il freddo, scende la neve, rotolar sulla neve non è come sulle foglie, la neve si sfalda, si rompe, e fa freddo e copre i colori, e gli scoiattoli sono tutti a dormire e anche i ricci cominciano ad essere stanchi e scende il sonno, un sonno lungo mesi, ma un sonno talvolta interrotto da sogni, pensieri chissà perché, chissà che cosa, e se fosse stato.
Poi pian piano il tepore riscalda i cuori, riscalda il cielo, riscalda il mondo, “che il sole alzandosi possa sfiorare il tuo viso con il primo raggio, se lo merita dopo tutte queste ere che ogni mattina si occupa di dar vita al mondo” è il primo pensiero a volar nell’aria, poi il tempo comincia a scorrere, le foglie sono verdi, belle si, ma non come quelle d’autunno e non cadono così spesso e i frutti degli aceri non sono maturi ma il tempo ancora passa ed ogni riccio vive il proprio spazio, il proprio giardino, il proprio momento, le cose cambiano nel tempo.
Poi pian piano torna l’autunno, le foglie gialle, le foglie rosse, tornano colori dei sogni ed una foglia rossa color del sangue, rossa color del cuore scende dal cielo, e vede un riccio affannarsi per prenderla, così si sposta, e il riccio la segue ancora, si sposta verso il centro del giardino, ed il riccio la segue ancora, si sposta e vede un altro riccio indifferente che guarda invece in basso, tocca così il naso del primo e poi scende giusto accanto agli occhi del secondo.
E si ferma lì.
Un riccio alza lo sguardo, l’altro lo abbassa e lì s’incrociano un istante solo in cui uno come per farsi avanti si ferma un istante tentennando e l’altro già si chiude un istante, poi apre un solo occhio come per vedere cosa l’altro ha fatto, poi apre entrambi gli occhi, si guardano ancora un istante.
E poi.