Lavoro, sala prove, altra sala prove, da una parte all’altra della provincia, correvo senza pausa senza tempo con l’animo infervorato dei sogni che rincorro che vivo che creo tra le mani correvo veloce e d’un tratto quasi sulla rampa per entrare in tangenziale vidi un uomo
distinto
anziano ormai
d’istinto mi si fermò il cuore
lentamente
lentamente spingeva una bici.
La sua vecchia bici nera
d’una fattura che non poteva che essere di cinquant’anni fa.
Attorno campi,
campagna
e una strada veloce,
una strada che furtivamente si è inserita in quell’ambiente ancora così agricolo,
naturale.
E penso a come per me cambino i tempi, a come sia veloce ogni cosa, ogni comunicazione ogni rapporto, ogni inizio, ogni fine, veloce, veloce, ininterrotto, interrotto ma in fretta per riprendere qualcosa successivo, di corsa, e cambiare gli abiti, le auto, e cambiare i telefoni, e cambia la tecnologia e la comunicazione e cambia ancora il mondo, si trasforma, l’economia e…
e quell’uomo,
lentamente,
spinge una bicicletta ormai vecchia,
ormai antica.
Come un’immagine che si sgretola nel tempo,
come superata
bucata come da un aereo che buca il muro del suono bucata dalla mia presenza dalla mia fretta dai miei sogni che rincorro i miei obiettivi dal lavoro la musica il mio lottare per ciò che credo il non lasciare le cose il mondo mi porti via da me stesso il non lasciare che
quell’uomo mi entri dentro,
lentamente,
con la sua bicicletta antica,
ormai ricordo
di un tempo andato
ormai ricordo
di quel che era
il mondo
ormai…
e mi fermo
scendo dall’auto nel buio
mi fermo
mi sdraio sull’erba e rido
rido di me
rido
e quell’uomo mi guarda
si avvicina
fa una breve, secca risata
secca e bonaria
mi porge la sua bicicletta
“non mi serve più ragazzo,
ora è tua”
e se ne va.
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