Ho parlato di Immuni in alcuni altri articoli, in un primo tempo in Sull’app di tracciamento per Covid-19 (https://wp.me/pQMJM-1QY) quando ancora si parlava della possibilità di sviluppare una app di tracciamento ero stato molto critico per la questione della privacy in quanto le bozze fino a quel momento non erano affatto convincenti e lasciavano dei grossi punti interrogativi. All’epoca le proposte erano diverse e Immuni non esisteva ancora e le stesse perplessità erano state espresse anche da numerosi altri esperti del settore. Successivamente quando l’app ufficiale è stata presentata ne ho parlato in Immuni: l’app anti Covid-19. Parliamone (https://wp.me/pQMJM-1UW) spiegandone l’assoluta sicurezza in merito ai rischi di privacy ed evidenziando alcune criticità che riporto:
- Perché funzioni tutti i malati dovrebbero dichiararsi al medico, e sappiamo che purtroppo molte persone hanno remore a farlo per non rimanere a casa da lavoro
- Potrebbero esserci molti falsi positivi, il mio bluetooth ad esempio vede spesso quello del mio vicino di casa che non incontro mai, sarà da verificare.
- Potrebbero esserci molti falsi negativi, bisogna vedere se davvero ci ammaliamo più per la vicinanza tra persone o magari toccando oggetti toccati da altri, sarà da verificare e sarà più difficile: l’App non l’ha tracciato perché funziona male? O perché non era in uso da entrambi?
- Il parametro della quantità di tempo di esposizione andrà tarato. Come?
Quindi seppure il mio consiglio fosse quello di installare l’app ero piuttosto pessimista sul fatto che sarebbe stata adottata bene e utilizzata in maniera corretta. Infine, nell’ultimo articolo in cui ho trattato nello specifico di Immuni, FaceApp sì ma Immuni no? (https://wp.me/pQMJM-1Yg), in una situazione già di scarsa adozione dell’app avevo evidenziato come fosse poco intelligente non installare Immuni per paura della privacy.
Immuni sta funzionando? Ha funzionato?
La risposta semplice è no. Ma credo che analizzarne i motivi sia qualcosa di fondamentale perché imparare dagli errori potrebbe permetterci in futuro di trarre beneficio da questo genere di applicazione: per quanto si voglia essere ottimisti questa non è la prima pandemia mondiale che abbiamo subito e non sarà di certo l’ultima.
I risultati non sono stati scarsi solo in Italia, anche se in Italia sono stati particolarmente scarsi, soprattutto per quanto riguarda il livello di adozione dell’App da parte degli utenti. In parole povere pochissimi hanno scelto di installarla, anche rispetto a nazioni che hanno presentato la loro app più tardi. Nonostante questo, va ammesso che anche all’estero le app di tracciamento non sono andate benissimo aprendo un dibattito tra chi vorrebbe trarre spunto per migliorarle e chi dà per scontato che non possano funzionare. Io come informatico appartengo alla prima delle due visioni.
I risultati italiani sono disponibili nell’apposita pagina del sito ufficiale I numeri di Immuni (https://www.immuni.italia.it/dashboard.html).
Riporto qui alcuni dati per fare dei ragionamenti:

Nella settimana dal 15 al 21 febbraio le notifiche inviate nella regione che ne ha ricevute di più, l’Emilia-Romagna, sono state 289 a fronte di 147 casi segnalati attraverso l’app. Quando nella stessa regione i casi sono stati da un minimo di 968 a un massimo di 1848 al giorno, per un totale di circa 10.000.

In pratica Immuni sembra aver ricevuto dai propri utenti l’1,45% delle segnalazioni dei casi reali e con questo 1,45% ha allertato circa due persone per ogni malato di cui è venuta a conoscenza. Considerato che l’RT in Emilia-Romagna quella settimana si attestava di poco al di sopra di 1, ossia una persona contagiava mediamente un’altra o poco più, i risultati sono necessariamente così sconfortanti come li si vuole far apparire? Un dato che manca purtroppo è quanti di quelli che hanno ricevuto la notifica siano poi risultati effettivamente positivi.
Cosa sarebbe successo se il servizio nazionale avesse obbligato a segnalare tutti i 10.000 casi invece di lasciare alla volontarietà dei pochissimi utenti questa facoltà? Difficile saperlo con certezza. Ma non credo che la lettura dei dati ci dica con certezza che non avrebbe funzionato.
Il sito di Immuni riporta anche i dati relativi alla diffusione dell’app, in particolare dopo una crescita discreta nel periodo autunnale, ossia all’inizio della seconda ondata, si sono praticamente fermati dopo novembre.
Da fine ottobre 2020 a metà febbraio 2021 sono passati da 9,6 a 10,3 milioni. Se prendessimo questo dato per valido, considerato il numero di abitanti in Italia -60,36 milioni- il 17% avrebbe scaricato l’app. In questi dati però sono compresi anche quelli che l’hanno installata e non l’hanno attivata o l’hanno disinstallata, e sono ricontati tutti quelli che l’hanno installata più volte. Verosimilmente, quindi, gli utenti che la stanno utilizzando sono molti, molti meno.
Va aggiunto che se chi è positivo poi non inserisce la propria positività, o ha difficoltà a farlo anche grazie ai problemi della sanità, anche se il sistema funzionasse in maniera ottimale sarebbe ulteriormente menomato dal pessimo utilizzo.
Uno dei motivi per cui è stato scarsamente utilizzato è senza dubbio la disattenzione diretta del governo. A settembre ne è stata fatta una breve campagna pubblicitaria di qualche settimana e poi basta, l’opinione pubblica se ne è completamente dimenticata e tutti si sono concentrati sulla speranza derivante dai vaccini e sulle scaramucce del governo stesso.
Non voglio polemizzare nuovamente su alcuni politici che si sono perfino schierati contro l’utilizzo instillando paure che non solo erano ridicole al tempo, ma che oggi lo sono ancora di più dato che il sistema di invio delle stringhe che ho descritto in Immuni: l’app anti Covid-19. Parliamone (https://wp.me/pQMJM-1UW) è integrato sia in Android che in iOS, quindi vengono comunque inviate.
Non installando Immuni l’unica garanzia che si ha è quella di non poter avvisare gli altri di essere malati, e non poter ricevere le notifiche di rischio.
Il problema che ha contribuito di più al fallimento del progetto, o quantomeno all’impossibilità di testarne a fondo i risultati è l’assenza di integrazione reale nel sistema di prevenzione. In autunno per permettere di caricare i propri dati era necessario un intervento degli operatori sanitari, e alcune regioni si sono perfino rifiutate di caricarli (Repubblica: In Veneto la app Immuni non funziona https://tinyurl.com/pzrasjam). Attualmente è possibile dichiarare in autonomia la positività grazie alla conferma di un operatore dedicato all’app e un numero verde, nelle prossime settimane l’app dovrebbe anche ricevere un aggiornamento per rendere completamente autonomo l’inserimento del proprio stato grazie al codice CUN fornito dal personale sanitario quando dichiara la positività, ma quando l’uso è caduto nel dimenticatoio e ormai considerato inutile è difficile convincere le persone a farlo. Soprattutto nel caso i servizi sanitari regionali non collaborassero correttamente fornendo il CUN.
Aggiungo un piccolo dettaglio di colore: qualcuno ha sentito notizie sul fatto che il sistema di inserimento dei dati in Immuni sia cambiato? Ne dubito fortemente. E se non c’è interesse a comunicare queste informazioni, non c’è interesse che l’app venga realmente usata. Non è scritto neppure sul profilo twitter di Immuni…
Si può sperare che con il cambio del governo il nuovo ministro dell’innovazione prenda in mano la situazione ma come ogni sistema di contract tracing funziona bene prima che esploda il numero di casi, quando si superano le migliaia è davvero difficile starci dietro. Sarebbe comunque utile a mettere davvero alla prova il lato tecnologico dell’app e vederla in funzione, invece di ucciderla ancora prima che si possa provare.
Anche se non lo è stata per questa, alla prossima pandemia potrebbe essere di vitale importanza.
Come sta andando all’estero?
Le app di contact Tracing sono state utilizzate quasi solamente in Occidente. In praticamente tutti gli stati europei e in molti stati degli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda. Cina, Corea del Sud e Taiwan nonostante un ottimo risultato nel contenimento dei contagi e grande uso di strumenti tecnologici non hanno usato sistemi simili a Immuni e tendenzialmente hanno proceduto con meno remore sulla privacy.
In generale i risultati sono stati comunque deludenti.
In Germania alla fine di gennaio, l’app Corona-Warn-App, era stata scaricata 25 milioni di volte contro i 10 milioni dell’Italia, una differenza importante ma non enorme considerato che gli abitanti sono 83 milioni. In compenso il numero di utenti tedeschi che hanno inserito il proprio status di positivo è stato di 240 mila invece degli 11 mila italiani, il 2.080% in più. Anche in Germania, tuttavia, in proporzione ai numeri che servirebbero per far funzionare un simile tracciamento si tratta di numeri piuttosto bassi, e anche da loro ci sono polemiche sullo scarso impatto che l’app ha avuto sull’evoluzione della pandemia.
In Francia TousAntiCovid non utilizza il sistema integrato in Android e iOs e ha grossi problemi di compatibilità con gli smartphone, in Spagna Radar COVID è stata scaricata da poco più di 7 milioni di utenti e sono stati caricati solo 50.000 casi di positività. Ma le motivazioni sono più o meno sempre, tasso di adozione scarso, poco utilizzo e poca integrazione con il sistema sanitario nazionale.
Forse l’unico caso non deludente è quello di Inghilterra e Galles dove prima era stata sviluppata un’applicazione come quella Francese non legata ai protocolli dei relativi sistemi, poi abbandonata in favore di NHS Covid-19 App, scaricata 21 milioni di volte. In Scozia e Irlanda del Nord invece sono state adottate app diverse. Da parte di alcuni ricercatori dell’Istituto Alan Turing e dell’Università di Oxford è stato fatto uno studio (https://tinyurl.com/yo2a6mqp) sulla correlazione tra mortalità da covid e download dell’app NHS Covid-19 App. La ricerca riporta che l’adozione dell’app potrebbe aver evitato tra le 200 mila e le 900 mila infezioni fra novembre e dicembre del 2020. Se così fosse non sarebbe per niente male.
I ricercatori stessi dichiarano che la loro ricerca andrebbe comunque approfondita con maggiori studi randomizzati, per escludere che i cambiamenti nell’utilizzo dell’app nel tempo e sulla base delle aree geografiche non riflettano cambiamenti di altro tipo, e che la l’analisi non attribuisca in maniera errata l’effetto all’app.
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