da "l'Arena"

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La silloge del giovane musicista alla Gheduzzi «Contrapposizioni» nella poesia di Giolo Prima di tutto il ritmo. Chissà se è un caso che il giovanissimo Stefano Giolo, veronese, classe 1982, suoni il sassofono nel gruppo latin rock jazz «Raku Quintet»: la sua prima prova poetica, intitolata «Contrapposizioni» (Edizioni Il Filo, pp. 103, euro 12), sembrerebbe proprio smentire la casualità. Si tratta infatti di un’agile raccolta dai tempi più vari che si caratterizza e che trova il suo elemento unificante nella musicalità: intesa non nel senso di una scelta metrica precisa, quanto come «orecchio», come naturale talento che il giovane poeta rivela nell’accostamento di termini che, vicini, producono di per sé una suggestione. Ce lo lascia intendere del resto l’autore stesso, nel capitolo VIII, che si intitola «Poesia. Per me». Vi leggiamo: «C’è qualcosa nell’aria questa sera. Ho voglia di scrivere, un po’ soffrire, senza dolore, come amare, senza dormire, come stare in un prato di notte sotto le stelle e sentire il respiro del mondo…». C’è un senso di trascinamento nelle parole, come se l’autore volesse farci intendere che questo per lui è poesia: un affidarsi delle cose ai suoni. Le cose infatti appaiono a Giolo come «contrapposizioni», la realtà è tensione tra sentimenti contrastanti, di cui è difficile intuire il senso e il destino. Nel suo lavoro giustamente Valentina Scacchi nella Prefazione che apre il volume afferma che in queste liriche «la vita appare come il teatro delle apparenti contraddizioni, in un palcoscenico di carta. Stefano Giolo mette in scena l’assurdo che regola la percezione dell’essere…Un sentimento di vertigine pervade questi versi che tentano di spiccare il volo ma sentono il peso della loro costrizione a terra». La musica, il respiro segreto della parola o, meglio, dell’incrociarsi delle parole, diventa la via necessaria a ridare un senso, un ordine alla realtà. E, nello stesso tempo, si pone come strumento in grado di liberare la lingua, a sua volta vittima della contraddizione inscritta nella vita, dalla non autenticità cui oggi è costretta: dulice liberazione dunque, la scrittura poetica, dalla prigione dell’esistenza ma anche dallo schematismo di scritture omologate. La ricerca di verità risulta per altro dominante anche nei contenuti: lo vediamo bene nella parte finale della raccolta, per esempio nella lirica, bellissima, intitolata Mirco, dove l’iterazione degli stessi termini scandisce l’autenticità della disperazione. O ancora in Elena, dove la brevità secca e aspra dei versi racconta l’asciuttezza impietrita del dolore di un’assenza. A riprova vale ancora quanto afferma il poeta. Quando parla di poesia, intesa anche come arte e dunque, in generale, come ispirazione, Giolo scrive infatti «contraddizioni assurde che per contraddizione/ spiegano la realtà/ perdendo allora la contraddittorietà». Il libro, premiato con una targa e un diploma di merito al concorso letterario internazionale «San Domenichino- Città di Massa», verrà presentato domani, venerdì, alle 18,30 alla libreria Gheduzzi-Giubbe Rosse in Corso Sant’Anastasia. Alessandra Galetto

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