Ho indossato per l’ultima volta la mia uniforme?
Ultima uscita dei passaggi?
Forte Gisella. Qui ho fatto la prima uscita della mia vita, con i Lupetti tanti anni fa a giocare e poi dormire fuori per la prima volta lì vicino, qui finisce, come un cerchio che si chiude.
Mezzora per indossarla, questa uniforme, nel silenzio. Lacrime che spingono contro una barriera di sorriso. Ci sono i miei lupi là , e loro devono essere allegri.
Indossare la camicia che sono fiero di portare, arrotolarne le maniche, tre giri? Quattro? Sono sempre stato indeciso, in realtà dipende dal mio umore ma nessuno lo sa. Indossare quel fazzolettone blu con cui ho passato tanti momenti stupendi e meno.
Paura.
Ed in tasca il mio fazzolettone, quello blu e bordeaux, quello su cui ho promesso tanti anni fa. Per stringerlo ogni tanto, per sentire che ho promesso, per sentire che ancora sono, nonostante tutto sono.
E giocare e correre, e abbracciare i miei piccoli, e quelli che erano i miei ragazzi in reparto, abbracciare la piccola Betty, Giulia, la piccola e la grande, Lorenzo che mi guarda e mi chiede “ma verrai a trovarci qualche volta?” , qualche genitore che dice “ma sei sicuro?”, ed io “no, non sono affatto sicuro, ma è quello che è giusto ora, poi si vedrà ”, sentirne l’abbraccio forte fisico e non, sentire famiglia, famiglia, affetto. Sentire Betty e Giorgia ed altri che vogliono ancora una volta essere abbracciati, portati in braccio, fatti girare e cappottare, e i ragazzi più grandi a cercare la sfida come sempre. Andrea timido che non sa neppure se rivolgermi la parola ma sorridente quando gli salto addosso nel prato.
Non è stato come quando di soppiatto io e Francesca scappammo dopo aver fatto una rivoluzione da questi colori che ora stringo forte nel pugno. Rivoluzione che rifarei altre cento, mille volte.
Francesca.
Ho pensato a te in quelle ore.
Ho pianto silenziosamente duranlte la messa. Nessuno se ne è accorto perché come tu sai so piangere senza lacrime, e c’era la tua mano a stringermi. Nella destra la tua, nella sinistra la mia promessa.
Immerso nei pensieri, due pensieri, forti.
E i canti quei canti che fin da piccolo mi hanno emozionato tanto da legarmi ad un mondo.
E i lupi che non sono più i “miei” lupi, come frecce lanciate prendano la loro strada guidati ancora un po’ dalle mani di altri e poi pian piano solo da se stessi.
Il forte che si svuota lentamente, Chiara. Chiara che ho sempre visto tra l’ostile e il severo e non so neppure il perché, col suo bimbo legato al corpo a fermarsi qualche istante a parlare con me.
Ho fatto la cosa giusta? Ho una casa da portare avanti, ho dei sogni da portare avanti, ho una parte di me da rimettere in sesto. Progetto del capo? L’ultimo vero l’ho fatto nel 2003 prima della rivoluzione e forse ne ho raggiunto oggi gli obiettivi. Non sarebbe ora di farne un altro di vero?
Penso allo sguardo di Chiara che mi ha colpito, allo sguardo dei lupi, ai ringraziamenti dei genitori. Davvero mi serviva questo per capire che la mia strada è quella? L’abbraccio di Daniela timido e indeciso ma sincero?
Ma non è ora il tempo, devo ricostruire una parte di me che è lì ma è crollata da tempo, devo ricostruire una parte di me che serve anche in questo servizio e che ho tralasciato troppo, ho lasciato andare troppo.
Corro, scappo sul lago (in ritardo come sempre) per lasciarmi scivolare sessanta metri sott’acqua, “al diamante” sotto Torri del Benaco, senza il tempo di salutare Embolo il protettore dei sub e fermandosi solo un istante a salutare la madonna del presepe e dirle ancora quel che le dico ogni volta, chissà che un giorno mi ascolti.
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