<- La mia prima volta
<- La mia prima volta (La vita)
<- La mia prima volta (L’anima)
Ricordo la prima volta come se fosse appena accaduta. I suoi capelli erano lunghi fino quasi a metà schiena castano scuro, lisci e morbidi. Tendevano a stare con la riga in mezzo come li aveva tenuti probabilmente per anni ma la sua mano continuava a scompigliarli dandole un movimento fluido e compatto posizionandoli ogni volta in maniera diversa. Ricordo perfettamente il bianco chiaro del suo corpo, la sua pancia piatta ma morbida di quel lieve strato di adipe che ogni donna dovrebbe avere, ricordo parte di me scivolarle liquida sulla pelle della pancia ed entrare nell’ombelico fino a farlo traboccare e poi scendere di lato accanto all’osso del bacino. Lentamente. Fu quello probabilmente a scatenare il tutto di ciò che avvenne successivamente. Era una sera come un’altra una sera come tante e lei ancora non l’avevo mai incontrata. Credo mi abbiano colpito per prima le labbra imbronciate e poi quei capelli lanciati da un lato all’altro da un braccio bianco e chiaro zeppo di lentiggini. Era triste, seduta su di una panchina al parco, al buio.
“Tutto bene?” le dissi.
“No” rispose.
Niente altro. Mi sedetti accanto a lei e non si spostò.
Il suo profumo era un profumo unisex, non saprei dirne il nome ma lo avevo già sentito altrove, sfiorava i meandri profondi della mia mente.
Restammo seduti uno accanto all’altra per minuti, decine di minuti, forse anche più di un’ora senza rivolgerci la parola poi lei si alzò e si allontanò lentamente.La vidi anche il giorno dopo. La scena fu simile ma non parlammo. Questa volta portava una T-Shirt bianca con una scritta grigia, non ricordo quale, ma mi rimasero impressi i pantaloni slavati e leggermente macchiati. Sembrava avesse deciso di lasciarsi andare. Non parlammo neppure questa volta ma le rimasi accanto. Anche il suo volto aveva delle lentiggini che il buio nascondeva ma quando i fari di un’auto passavano riuscivo a distinguerle leggermente sulla superficie del naso. Lei teneva lo sguardo basso.
Fu la terza sera che le chiesi gentilmente se avesse voluto usufruire dei miei servigi. Indossava ancora gli stessi pantaloni e la maglia che indossava era strappata in basso. Attraverso si vedeva il bianco del suo corpo, lì apparentemente privo di lentiggini. Si alzò dalla panchina e mi diede uno schiaffo fortissimo quando glie lo chiesi, tanto da farmi schizzare sangue dal naso. La vista del mio strumento doveva averle causato un moto di timore ma alla fine non si mosse confermandomi che tutto sommato desiderava quello che le stavo proponendo. Mi alzai a mia volta cercando di fermare il getto di sangue che stavo perdendo e le spinsi le spalle per farla sedere, si lasciò muovere docile e una volta seduta sulla panca la feci sdraiare. Lo stava aspettando quel momento, nonostante lo schiaffo non disse una parola. Quando le tirai su la maglietta fino ad esporle il seno un altro fiotto del mio sangue finì sulla candida carne morbida che avevo esposto, il sangue rosso chiaro scivolò nella fossa del suo ombelico riempiendolo in fretta e colando di lato giusto sopra l’osso del bacino. Mi chinai a leccarlo, a leccare il mio stesso sangue a leccare quella pelle, a sentire il misto tra il metallico e il salato, tra il male ed la purezza.
Lei rimase in silenzio ancora. Mi guardava fremendo leggermente con lo sguardo di un agnellino che attende gli eventi. Reggevo forte nella mano ciò che avrei usato su di lei e lei lo guardava quasi con bramosia. Avrei voluto infilarglielo con forza dentro senza preamboli ma decisi di farlo lentamente, di godere il momento che avrei ricordato per tutta la vita. Lo posai sulla pelle del suo sterno e lo feci andare leggermente avanti ed indietro, lasciava un lieve segno su tutto quel candore poi, ruotandolo, con la lama tagliai la stoffa che univa le due coppe del reggiseno. Lei parve gioire in un istante di ritrovata libertà mentre i suoi seni lanciavano di lato gli scampoli di stoffa rimasti appesi solo alle spalle e dietro la schiena. Osservai quelle morbidezze mentre il sangue dal naso smetteva di scendere poi feci scorrere la lama del mio strumento dallo sterno al pube lentamente premendo a poco a poco di più, quel tanto da segnare la pelle sotto la pressione che la schiacciava verso il basso comprimendola ma non abbastanza da tagliare. Nei suoi occhi vidi per la prima volta la paura, come avesse cambiato idea, come se volesse che mi fermassi. Lo fanno sempre pochi istanti prima del momento, è quello l’istante in cui bisogna agire, il culmine massimo del piacere prima che arrivi il terrore, prima che arrivino le urla. Non lo sapevo ancora in quel momento ma era l’istinto a guidarmi. Razionalmente lo avrei compreso solamente anni dopo. Feci entrare la lama poco al di sotto dello sterno bucando i polmoni ed il cuore. Vidi i suoi occhi e le sue labbra spalancarsi come a provare un orgasmo prima che un fiotto del suo sangue le uscisse dalla bocca scendendo sotto un orecchio. Avrei voluto sanguinare ancora, mescolare il mio sangue al suo, mescolare i miei liquidi ai suoi ma mi limitai a leccare i suoi dall’orecchio, da sotto l’orecchio. Non respirava già più. La lasciai lì, in quel contrasto del rosso e del bianco, con quel segno uscirle dalle labbra come un rossetto sbavato in una serata di passione.
Le avevo donato ciò che desiderava, avevo portato via con me quello di cui desiderava liberarsi e questo mi faceva sentire particolarmente sereno, in pace col mondo. Avevo trovato il mio posto nel mondo, il mio ruolo.
Quella fu la mia prima volta, la prima di tante altre in cui donai i miei servigi a persone che non erano più in grado di scegliere di essere o di non essere, né di sopportare gli oltraggi dell’iniqua fortuna né di prender le armi contro il mare di triboli.
Ero diventato il braccio della vecchia signora.
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