La porta del paese delle meraviglie – Parte prima

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Tempo di lettura 3 minuti

Ti vidi su di una panchina, abbracciata a tu sorella la quale leggeva, rimasi ad osservare il tuo volto pieno e vivo come quello di chi non sa soffrire che per istanti nonostante fossi seria ed annoiata, ti osservai sbuffare da lontano nascosto dietro un cespuglio.
Incantato ed incapace di mostrarmi, di parlarti, di palesare la mia presenza. Tante volte ti avevo immaginata, avevo osservato altre mentre non c’eri immaginando fossi tu e lasciandomi innamorare anche della loro presenza nella tua assenza, immaginarmi te davanti a me a muoverti e correre e sorridere, osservare i -non- tuoi capelli muoversi e saltare e supporre di conoscerti ed ora ero lì a guardarti finalmente di nuovo. Immobile bloccato.
Ero lì mentre passò quello strano coniglio: “Povero me, povero me! Farò tardi!” diceva, e quando il coniglio tirò fuori l’orologio a cipollotto dal doppio petto vidi il tuo sguardo stupito ma non come chi vede qualcosa di assurdo, stupito come qualcuno che vede qualcosa di bello ed inaspettato ma non incredibile, uno sguardo così naturale da rendere naturale a me il vedere questo strano personaggio saltellare di tutto punto vestito.
Ti osservai da lontano seguirlo, forse un po’ geloso lo ammetto perché lui si era palesato anche se involontariamente, ti osservai osservarlo entrare nella sua tana e pochi istanti dopo cadervi dentro.
Ti seguii.
Caddi o volai, non ricordo il vento dell’aria contro la pelle, non ricordo la paura della caduta se non per un’istante, era come se invece di scendere fosse il mondo a salire ed io immobile, vidi credenze e mobili, comodini, mi parve di cadere o salire miglia e miglia, non ti vidi più mentre scendevo e forse neppure dopo non lo so perché cominciai d’un tratto a complicarmi.
Ricordo di non ricordare cosa pensassi nell’istante stesso in cui lo pensavo e di ricordare ricordi passati di passati invissuti, ricordo che come al solito quando mi annoio cercai di calcolare cose, la velocità di caduta in base a punti di riferimento, la larghezza del corridoio verticale che mi pareva scorrermi addosso, ricordo di aver provato a calcolare quanti anni avessi ma non ricordavo quando fossi nato, e di contare quante dita avessi ma dopo essere arrivato a ventitré ricominciai e arrivai a due, e provando nuovamente erano quindici o trentatré ma poi ricordo di non ricordare se davvero quelli fossero i numeri e poi pensai che era una buona idea provare a calcolare i miei anni e mi fossi ricordato quando sono nato o quanto veloce andasse il suono, non ricordo eco o effetto doppler ma ricordo che i pensieri rimbalzavano sulle pareti e se pensavo verso il basso i pensieri correvano correvano senza tregua e se pensavo verso l’alto dimenticavo in fretta cosa non so perché non lo ricordo.
D’un tratto il pavimento o il terreno o il dove stavo andando mi raggiunse.
Mi ritrovai seduto.
Poco lontano un coniglio stava allontanandosi, indossava un doppio petto e reggeva con una zampa un orologio a cipollotto, sembrava agitato e frettoloso “Orecchi miei, baffi miei, come è tardi!” disse e si voltò un istante verso di me, ma non aveva baffi, non aveva orecchi o forse si nascosti da quei suoi bei capelli che contornavano un volto umano e dolce, pieno e vivo come quello di chi non sa soffrire che per istanti per nulla serio o annoiato, e perché avrebbe dovuto poi esserlo, ma neppure pieno della tensione e della fretta di chi corre per qualcosa che non ha scelto, il tuo sorriso era quello di chi sa cosa sta facendo e con la frenesia della gioia di fare, la gioia dell’inquietudine del non saper stare con le mani in mano e correvi, correvi, correva con quell’orologio il coniglio bianco dal volto umano, correvi lontano ed io dietro te con il tuo sorriso dentro.

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Disclaimer su racconti e poesie

Tutto ciò che leggi qui dentro è una libera rielaborazione di vissuti, sogni e immaginazioni. Non rispecchia necessariamente la mia realtà. Se chi legge presume di interpretare la mia vera persona, sbaglia. Se chi legge presume che tutto sia inventato, sbaglia parimenti. Se tu che leggi mi conosci, leggimi come leggeresti uno scrittore sconosciuto e non chiederti altro di diverso di ciò che chiederesti di questo.

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«Casa» è guardare la luna che sorge sul deserto e avere qualcuno da chiamare alla finestra, a guardarla insieme con te. «Casa» è dove puoi ballare con qualcuno, e la danza è vita.Stephen King
22/11/76

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