Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

Le sfiorò le mani

Tempo di lettura 3 minuti

Era una serata come un’altra, come mille o come nessuna. Attorno le auto in movimento erano poche, finite le feste la gente era ormai stufa di andare in centro ed era il momento giusto per frequentarlo prima che alla gente tornasse la smania degli acquisti grazie ai saldi.
Era in piedi, era ormai il momento di salutare gli amici dopo una serata piacevole seppur breve, s’era parlato di ogni cosa, di forse e di ma e di certo e di altro ed ancora. Una serata come altre. Di fronte a lui a ridere e parlare un vecchio amico, e due nuove e la distanza frapposta della novità, del non essere nella zona di confort seppure confortato da una situazione piacevole.

Lui le sfiorò le mani. Voleva sentire solo la consistenza di quei guanti di pelle morbida e niente altro. Lui le sfiorò le mani e mentre le sfiorava le mani il mio sguardo cadde su quelle quattro mani, sulle due a stringere le altre due, e sullo sguardo di lui. Rideva con assoluto candore, guardando quelle mani e non lo sguardo che stava poco dietro. Quello sguardo si fece un’istante serio, o forse fu una mia impressione. Si fece serio il mio indubbiamente, involontariamente mentre dentro di me qualcosa di caldo si scioglieva dalle pareti alte del mio interno precipitando improvvisamente verso il basso come in un vortice che non riuscivo a comprendere.

La ragazza voltò lo sguardo verso di lui e parve un’istante accorgersi di cosa accadeva nella sua mente. Un’istante prima che la strada si inclinasse. Mentre la strada si piegava in un imbuto i palazzi attorno si alzavano e le macchine parcheggiate cominciavano a muoversi verso di loro, tutto divenne in qualche modo liquido e mentre cadevano sembravano fondersi in un unico nulla di unico gorgo nero. Tutto attorno a lui era improvvisamente scomparso. O apparso. Quando aprì gli occhi viaggiava su di un treno. Gli parve di averlo aspettato secoli quel treno. Di fronte a lui seduta una donna, aveva lunghi capelli neri con dei riflessi rossi di hennè, il suo viso era rilassato e dolce, gli occhi grandi, le sopracciglia curate ed un piccolo piercing a luce nell’incavo del naso. Era in sovrappeso ma nascondeva molto bene la cosa valorizzando con vestiario le parti migliori. Si sarebbe detta una madre ideale. Al di sotto del mento un taglio netto le aveva aperto il collo in una linea dritta da una parte all’altra e lei aveva continuato a sorridere nonostante. Le braccia erano stese aperte con le mani appoggiate ai sedili accanto come per alzarsi, le dita spiegate ed allargate. Il sangue aveva smesso di uscire da un po’ ed aveva sporcato tutto lo scompartimento. Il ragazzo riusciva a vedersi dallo specchio sopra la testa di lei e da quello vedeva lo specchio dietro di sé. Si guardò il corpo, non vi era alcuna traccia di sangue, e pur sedendosi sul sedile sporco non si sporcava. Aveva in mano un bisturi però. Questo sì, sporco di sangue.
Si allontanò dallo scompartimento con calma camminando nel corridoio, aveva lasciato la porta scorrevole aperta e camminando guardava stancamente come tutti gli altri posti fossero vuoti. Camminò fino all’ultimo vagone senza incontrare anima viva o morta che fosse. Aveva ancora il bisturi in mano, lo osservò. Il sangue era secco, il sangue stesso nello scompartimento era secco seppure il colore fosse vivido e forte come fosse stato nuovo.
Il treno era in movimento ma all’esterno il mondo non sembrava più reale di un film i cui fondali fossero disegnati malamente e gli pareva continuassero a ripetersi, ripetersi, ripetersi incessantemente. Provò ad aprire un portellone e non accadde nulla, provò a tirare il freno di emergenza e di nuovo non accadde nulla.
Appoggiò la lama al proprio collo e spinse con forza. Un getto nero uscì inondando a schizzi l’ambiente circostante, una quantità enorme e troppo scura di liquido lo avvolse e tutto divenne nero, il liquidò gli entrò in bocca soffocandolo, nei polmoni, dentro al corpo e si fissò dentro all’interno come attaccato a pareti di una grotta.

“Bene, allora noi andiamo, dai magari la prossima volta ci si vede per un aperitivo, no?” disse l’altra ragazza, quella senza i guanti di pelle.
“Sì, potrebbe essere.” rispose lui.
Un’auto li illuminò un’istante con i fari mentre passava lì accanto. I tre si allontanarono e solo quando rimase solo premette il tasto sulla chiave, salì in macchina e l’avviò per tornare a casa.

Alchera Myspace


Disclaimer su racconti e poesie

Tutto ciò che leggi qui dentro è una libera rielaborazioni di vissuti, sogni e immaginati. Non rispecchia necessariamente la mia realtà. Se chi legge presume di interpretare la mia vera persona sbaglia. Se chi legge presume che tutto sia inventato sbaglia parimenti. Se tu che leggi mi conosci, leggimi come leggeresti uno scrittore sconosciuto e non chiederti altro di diverso di ciò che chiederesti di questo.

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