Mi sono sempre chiesto come esprimere il concetto di dimensioni fisiche aggiuntive a quelle che sperimentiamo quotidianamente, come spiegare a qualcuno di non avvezzo a tali teorie cosa possa essere una quarta dimensione o più. Lasciamo perdere come di consueto il fatto che una quarta dimensione, il tempo, la percepiamo ogni istante seppure non siamo in grado di interagirvi come con le altre e chiamiamo quarta una ulteriore “direzione” che non sia altezza, lunghezza o larghezza.
L’esempio classico che ho sempre usato è funzionale e semplice ma non permette di vivere in prima persona una rappresentazione di quarta dimensione, l’ho preso dalla spiegazione classica che viene fatta nella divulgazione scientifica, a partire da Stephen Hawking, passando per romanzi di fantascienza come Sfera di Michael Crichton al geniale Flatlandia di Edwin Abbott Abbott che ho già citato altre volte.
Recentemente una persona senza volerlo mi ha aperto un mondo, parlava di tutt’altro e mi ha dato un idea che ritengo particolarmente efficacie per estendere tale esempio classico e riportarlo alla nostra realtà . Non pretendo che tale spiegazione abbia una valenza scientifica ma piuttosto una valenza filosofica che possa aiutare ad una maggiore comprensione scientifica.
L’esempio classico è il seguente: immaginiamo un universo formato da una linea retta e i cui abitanti siano dei segmenti. Assumiamo che ogni segmento possieda due occhi, uno ad un capo ed uno all’altro in modo da poter vedere la direzione in cui si muoverà . Ogni segmento sarà in grado di vedere gli altri segmenti solamente come un punto che si avvicini o si allontani ed una volta raggiunto il segmento accanto non potrà sorpassarlo. La percezione del segmento di se stesso e degli altri sarà necessariamente il puntino che è la proiezione del suo corpo e non gli sarà possibile vedere altro, quello che noi “da fuori” riconosceremo come la linea che forma il segmento dal suo punto di vista sarà semplicemente il suo “interno”. Allarghiamo ora quell’universo e rendiamolo a due dimensioni, un immenso foglio bianco su cui possano muoversi diverse figure geometriche. Non importa quale sia la figura ma ognuna di esse percepirà le altre figure come linee. Gli occhi di ogni figura saranno all’altezza di questo foglio-universo e tali occhi percepiranno la proiezione su una dimensione, la larghezza, di ciò che è il loro corpo a due dimensioni. Quello che noi da fuori percepiamo come l’area dalla figura viene percepita anche in questo caso come il proprio “interno”. In un mondo a tre dimensioni avremo uno spazio a cui è dato il dono dell’altezza. Ogni figura che vi si muova, un cubo, una piramide, un essere umano, percepirà la propria figura e quella dei suoi simili in due dimensioni. avendo semplicemente un’altezza ed una larghezza ma non sarà in grado di percepire la reale profondità . Ora direte “non è vero” ed invece è vero, i mezzi che usiamo per interpretare la realtà , ossia i colori, la riflessione della luce ed altro sono mezzi che se tolti di mezzo ci impediscono di percepire la terza dimensione, esattamente come sul foglio in Flatlandia le figure utilizzano la “nebbia” per interpretare le proiezioni e capire le forme. Se ancora rimaneste convinti che siamo in grado di percepire tre dimensioni allora potrei spingermi oltre dandovi ragione e dicendovi che noi viviamo in quattro, che la quarta è il tempo e che non siamo in grado di percepirla se non rendendoci conto dei cambiamenti che accadono nel percorrerla. Quindi interpretando le altre tre dimensioni in funzione della quarta.
Questo esempio dimostra come per induzione sia definibile che un essere vivente su n dimensioni sia in grado di fatto di percepire n-1 dimensioni e al massimo di interpretare in qualche modo l’ennesima. Quello che però definirà “il proprio interno” è di fatto quello che è la dimensione n+1.
Lo so, al momento non ho aperto nuovi orizzonti e probabilmente aumentato la complessità , ma presto arriverò al punto.
Un secondo esempio sempre prendendo in considerazioni universi proiettati su diverse dimensioni è il punto di vista dello spostamento. Prendendo in esame nuovamente l’universo formato da una linea, quello ad una dimensione i suoi abitanti non avranno mai modo di oltrepassarsi, potranno toccare i propri vicini ma non oltrepassarsi, per poterlo fare avrebbero bisogno di una seconda dimensione, la larghezza. In un mondo bidimensionale, il foglio, gli abitanti possono ruotarsi attorno e girare liberamente ma una figura che si trovasse all’interno di un altra non potrebbe muoversi uscendone, se non passando dall’altezza, ossia la terza dimensione, la n+1. In un mondo a tre dimensioni, molto simile al nostro, le figure possono passarsi di fianco in due modi o sopra o sotto. Se una figura però è all’interno di un altra, siete chiusi in una scatola, non è possibile uscirne se non passando da una ipotetica quarta dimensione, la n+1, sempre quella che percepiamo come interna.
Con questo ho finito i due esempi classici e posso introdurne per estensione un’altro, ossia il pensiero. La frase che ha stimolato la mia attenzione è stata in una chiacchierata sull’interiorità un qualcosa come “Se invece entriamo nella dimensione del pensiero…”, La dimensione del pensiero.
Se vogliamo il pensiero, il pensare è qualcosa che sta dentro di noi, lo attraversa e ci permette di fare una forma di viaggio che non include le tre dimensioni classiche, non ci spostiamo avanti, di lato o in su, ci muoviamo dentro, in una dimensione che non siamo in grado di percepire con i cinque sensi ma che di fatto non è assolutamente trascurabile. Dentro di noi, come la seconda dimensione è percepite come interno dalla linea, o la terza è percepita come interna dalla figura piana. Il pensiero, il movimento in esso, la capacità di farci viaggiare in qualche modo all’esterno della nostra fisicità credo sia la cosa che più si avvicina alla comprensione di una dimensione superiore alle tre classiche, una dimensione, una direzione che possiamo percepire, comprendere e vivere ma che trascende le tre.
Non ha caso chi parla di trascendenza nell’uomo, che ne parli in senso religioso, filosofico o in psicologia è un viaggio all’interno di se verso una crescita, un cambiamento, un preciso percorso che non viene considerato fisico perché non attraversa le tre dimensioni.
Ripeto, non pretendo che abbia una valenza scientifica di alto livello ma mi sembra un buon esempio per la comprensione di un concetto altrimenti difficilmente immaginabile, e poi chissà se davvero il pensiero fosse una dimensione quali altre porte si aprirebbero!
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Un cortometraggio su Flatlandia girato da Michele Emmer nel 1982
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