Sul sessismo, sull’impossibilità di mettersi nei panni degli altri

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Non amo parlare di casi di cronaca specifici perché in generale passano, perché saltare sulla notizia è qualcosa che non amo fare, perché comunque se oggi inizio a scrivere un articolo lo pubblicherò probabilmente tra qualche giorno quando l’hype sul tema sarà calato, ma soprattutto perché non è il mio lavoro. Però talvolta le notizie di cronaca mi stimolano delle riflessioni su temi che mi sono cari, e che magari impattano la tecnologia e l’uso consapevole delle tecnologie.

Si tratta della condanna alla persona che ha dato uno schiaffo sul sedere di una giornalista, Greta Beccaglia, in diretta televisiva (https://short.staipa.it/nfjam), non credo servano grandi riassunti ma la storia è più o meno questa: un padre di famiglia, professionista, lavoratore, bravo ragazzo schiaffeggia sul sedere una giornalista in diretta TV davanti allo stadio, lei lo denuncia, lui viene condannato a un anno e 6 mesi, pena abbreviata a seguito del giudizio e che verrà annullata se il colpevole frequenterà nei prossimi 5 anni un percorso di recupero. Semplice, chiaro lineare.

Per me non ci sarebbe neppure da discutere sull’argomento. Un essere umano ha svolto un reato in diretta televisiva, tutti lo hanno visto, è stato denunciato, è stato condannato. Eppure, non è così per la grande platea dei social.

Insulti, incapacità di comprendere come schiaffeggiare il sedere di una persona sia offensivo e svilente, e soprattutto incapacità di comprendere che lasciare impunita e non gestita una situazione del genere accaduta in diretta televisiva creerebbe non solo un precedente, ma una consuetudine.

Perché accade? Sono gli stessi meccanismi di cui ho parlato in Il bullismo spacciato come valore (https://wp.me/pQMJM-1Qo), ormai due anni fa. È lo stesso meccanismo che invariabilmente costringe personaggi come Chiara Ferragni a sorbirsi gli insulti a ogni foto considerata anche solo un po’ provocante (https://short.staipa.it/qq347) e che non fa capire agli stessi insultatori che quello che fanno è farle soprattutto pubblicità, e che il suo lavoro è appunto far girare il più possibile le proprie foto per pubblicizzare i vestiti che indossa.

Vicino a casa mia c’è un distributore di GPL nel quale lavora un simpatico signore di mezza età il cui piacere più grande è evidentemente lamentarsi. Lo trovo simpatico e un po’ patetico ma ogni volta che mi capita di andarci si sfoga con me (e immagino con tutti quelli che passano) sui comportamenti dei propri responsabili, su quelli di chi entra nel distributore dalla parte sbagliata, sul governo ladro… e mentre si sfoga cerca la mia approvazione. Credo che i fattori che lo spingono a farlo siano due: un po’ di frustrazione generale e soprattutto l’approvazione da parte dei clienti che in quella situazione non possono fare altro che dire “eh sì, hai ragione, è proprio vero” per non entrare in una discussione che li porterebbe a spendere un quantitativo di tempo impossibile da sostenere.

“Eh sì, è proprio vero” è l’equivalente del Like sui social, è un segno di approvazione che alimenta quel pochino l’ego da spingere a ripetere l’azione. E sui social le persone che dicono “eh sì, è proprio vero” con un veloce click sono molte ma molte di più di quanto possano essere i clienti in una giornata di un anonimo distributore di GPL della provincia. Vedere poi attorno a te altri che lamentano la stessa cosa fa sentire nel giusto. Fa pensare che allora in fondo non siamo noi sbagliati che la pensiamo diversamente, ce ne sono tanti come noi.

Questo si applica a qualunque tema che ci tocchi e il sessismo tocca moltissimi uomini. Siamo cresciuti e educati in un ambiente in cui dare uno schiaffetto sul sedere a una donna è non solo accettabile ma simpatico. La commedia all’Italiana (https://it.wikipedia.org/wiki/Commedia_all%27italiana) è piena di scene di questo genere con donne che sembrano approvare, perché a nessuno è mai interessato se le donne approvassero. Rendersi conto che quello schiaffetto può essere offensivo sembra in qualche modo togliere potere all’uomo, sembra un affronto allo status quo ed è facile per chi non sia in grado di mettersi nei panni dell’altro non capire, tanto più che è probabile che se una donna desse lo stesso schiaffetto all’uomo che sente il proprio status quo leso, questi se ne sentirebbe onorato, sentirebbe che lei lo apprezza, non che lo considera un oggetto.

Come spesso accade si tratta di una questione di ruoli. Da una parte una categoria che quotidianamente si trova esposta, nuda, buttata su cartelloni pubblicitari e in televisione senza vestiti, sente che a ricevere uno schiaffo sul sedere in pubblico davanti a centinaia di migliaia di telespettatori equivalga a trattarla per l’ennesima volta come un oggetto, dall’altra una categoria abituata a disporre di tutto a scelta, valutata per le proprie performance di conquista, disegnata nei film e nella letteratura come capace di superare le ritrosie del rifiuto si sente il potere di sottolineare il proprio potere con un gesto che gli sembra innocuo.

Ma il gesto non è affatto innocuo.

Il gesto va fermato perché il mondo dei like non lo alimenti. Va fermato perché non è un benzinaio che si lamenta che il proprio responsabile non alza un dito per lavorare, va fermato perché come i commenti sessisti proliferano e fanno sentire forti, gesti del genere non devono seguire lo stesso percorso. Non devono far sentire ad altri che in fondo è normale. No. Ognuno di noi deve sentire quanto vile, sporco, squalificante sia un gesto di tale inutilità. Che cosa ci guadagna in fondo un uomo a dare uno schiaffetto sul sedere a una donna se non un inutile brividino di potere a fronte del senso di oggettificazione che lei si porterà dentro? Quel gesto va deplorato e vanno deplorati tutti i commenti delle persone che non sono in grado di capire questo semplice concetto. Deplorati. Non eliminati o vietati. Anche qui vige la libertà di pensiero, anche per questo ormai social come Facebook vengono sempre più abbandonati o non seguiti dai giovani, perché tanto vale lasciarlo essere il covo di rancorosi che nel tempo sta diventando. Le alternative ci sono, Mastodon (https://wp.me/pQMJM-2BR) per dire è davvero un mondo migliore, per ora. Un tentativo di ripartire da un modo diverso di discutere, senza le offese, senza il modo sporco e schifoso di comunicare a cui ci siamo abituati negli ultimi anni. Ma è anche colpa nostra. Perché siamo noi a non opporci a questo meccanismo. Siamo noi a lasciare che quei rancorosi continuino a portare avanti questa cultura di odio e di incapacità di mettersi nei panni degli altri.

Si tratta dello stesso meccanismo del bullismo (https://wp.me/pQMJM-2qu). La colpa è del bullo, ma anche di chi sta a guardare e non si oppone. Soprattutto di chi sta a guardare e non si oppone. Adoriamo tutti guardare IT con i suoi perdenti, Mercoledì con i suoi reietti, Tredici e Kobra Kai con le sue storie di bullismo, vorremmo sentirci forti come Eddie di Stranger Things, compatiamo Carrie, Daniel LaRusso, Bastian de La Storia Infinita, Billy Elliot, Forrest Gump e il tenente Dan, ci piace sentirci nella parte della vittima perché in qualche modo ci fa sentire a posto con noi stessi, possiamo dare la colpa ad altri delle nostre mancanze. Ma quando ci troviamo a non essere noi la vittima finiamo quasi invariabilmente per infierire, o per stare zitti e guardare la scena senza opporci. Preferiamo pensare che come nei film poi in caso il bullizzato se la caverà da solo con un colpo di reni all’ultimo, ma se quel colpo di reni è una denuncia e una causa legale vinta… allora ha esagerato, allora in fondo la vittima è il colpevole.

Non è così che si cambiano le cose. Le cose si cambiano ogni giorno. Lottando noi per primi per chi è più debole. Le società non si cambiano lasciando fare, le società si cambiano prendendosi l’impegno di farlo, scornandosi a volte contro le difficoltà. Mettendosi nei panni degli altri e cercando di capire cosa provano, e se quello che provano non è positivo, lottare perché le cose in futuro non si ripetano. Lottare per un mondo migliore, anche solo di un briciolo migliore, ma non uguale a prima.

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Questo blog non è solo sull’Uso Consapevole Delle Tecnologie

Questo è un blog politico. Che piaccia o no. Ma difficilmente mi si vedrà schierato a favore di un partito, o contro un partito… per partito preso.
Politica è essere o non essere razzisti, essere o non essere a favore dei diritti e delle libertà, politica è scegliere di buttare per terra una cartaccia o di raccoglierla e metterla in un cestino della differenziata, politica è scegliere tra accogliere o discriminare, sono tutte cose che non sono di destra o di sinistra, che non dovrebbero appartenere a l’uno o all’altra fazione politica. Sono “cosa pubblica”, sono bene pubblico.
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