Staipa’s Blog

Il Blog di Stefano Giolo, divulgazione informatica, uso consapevole tecnologia, e fatti miei

La mia prima volta (La vita)

<- La mia prima volta

Quando Marco mi fece provare non sembrava nulla di che. Alla fine lo facevano tutti, o almeno lo facevano le persone che io ritenevo le più intelligenti, le più sensibili, quelle di cui preferivo circondarmi. Ero un ragazzo, eravamo tutti ragazzi e sembrava una cosa figa.
Provi. Tanto hai tutta la vita davanti, anzi ai tuoi piedi. Perché a quell’età non hai idea di cosa sia la vita ne davanti ne dietro, sai cos’è l’oggi, l’adesso. Il domani tuttalpiù è il tempo che ti separa tra l’adesso e un evento interessante. Non sapevo ancora che un giorno sarebbe diventato un mondo di possibilità, di scelte, di fatica, fino a quel giorno non esisteva, e basta.
Il gioco è stato divertente, quando me lo ha proposte mi sono chiesto “cosa succede se provo? Cosa se non provo?”. L’unica risposta che mi sono dato è che se non lo avessi fatto sarei stato uno sfigato, che Marco non mi avrebbe considerato all’altezza.

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La mia prima volta

La prima volta che lo feci non sembrava nulla di che. Alla fine lo facevano tutti, o almeno lo facevano le persone che io ritenevo le più intelligenti, le più sensibili, quelle di cui preferivo circondarmi. Ero un ragazzo, eravamo tutti ragazzi e sembrava una cosa figa.
Provi. Tanto hai tutta la vita davanti, anzi ai tuoi piedi. Perché a quell’età non hai idea di cosa sia la vita ne davanti ne dietro, sai cos’è l’oggi, l’adesso. Il domani è tuttalpiù il tempo che ti separa tra l’adesso e un evento interessante. Non sapevo che un giorno sarebbe diventato il tempo che mi separava tra l’ultima volta e la prossima, niente altro.
Il gioco è stato divertente, me lo ha proposto Marco e mi sono chiesto “cosa succede se provo? Cosa se non provo?”. L’unica risposta che mi sono dato è che se non lo avessi fatto sarei stato uno sfigato, che Marco non mi avrebbe considerato all’altezza.

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Alex pt2 (Umanità)

(Precedente: Alex pt1)

Non puoi capire come gli innesti cibernetici ti cambino fino a quando gli innesti cibernetici non ti hanno cambiato. Non puoi capire fino a che punto tutte quelle stronzate del fatto che ti facciano perdere umanità non siano affatto stronzate. Il primo innesto l’ho fatto quasi per gioco, per moda. Non avevo ancora i miei seguaci all’epoca ma ero entrato nel gruppo da poco. Ognuno di loro aveva la propria caratteristica speciale, che lo rendeva più minaccioso. Gli anni dei tatuaggi, dei piercing o delle creste in testa erano passati, cioè voglio dire tutti li avevano e non era più un segno di distinzione, era quasi conformismo almeno tra chi viveva nei bassifondi, gli innesti sottocutanei tradizionali erano anche questi roba passata. C’era chi si era fatto innestare un braccio bionico solo per il gusto di averlo e di essere più forte senza dover sostituire necessariamente un braccio non più funzionante, c’era chi si era fatto innestare mezza calotta cranica in acciaio a vista, chi denti in titanio affilati.

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Le sfiorò le mani

Era una serata come un’altra, come mille o come nessuna. Attorno le auto in movimento erano poche, finite le feste la gente era ormai stufa di andare in centro ed era il momento giusto per frequentarlo prima che alla gente tornasse la smania degli acquisti grazie ai saldi.
Era in piedi, era ormai il momento di salutare gli amici dopo una serata piacevole seppur breve, s’era parlato di ogni cosa, di forse e di ma e di certo e di altro ed ancora. Una serata come altre. Di fronte a lui a ridere e parlare un vecchio amico, e due nuove e la distanza frapposta della novità, del non essere nella zona di confort seppure confortato da una situazione piacevole.

Lui le sfiorò le mani. Voleva sentire solo la consistenza di quei guanti di pelle morbida e niente altro. Lui le sfiorò le mani e mentre le sfiorava le mani il mio sguardo cadde su quelle quattro mani, sulle due a stringere le altre due, e sullo sguardo di lui.

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Immemori battaglie pt5: -lampo-

Non è lo sparare l’atto principe dell’azione, è solo la conseguenza. Tutto l’insieme dell’atto è soprattutto nella respirazione e nell’attesa. Un susseguirsi di momenti in cui riempi i tuoi polmoni, stabilizzi il corpo e attendi un susseguirsi di istanti che sarebbero quelli sbagliati. Dal puntare al momento in cui premerai il grilletto passano solo pochi secondi di inspirazione, attesa, stabilizzazione della mira. Poi arriva l’istante esatto, subito dopo è troppo tardi. La mano incomincerà a tremare, il peso dell’arma a pesare, il cuore accelererà pompando il sangue e non potrai fare altro che abbassare l’arma e ricominciare un nuovo ciclo.
Il nemico è là, in fondo alla canna del mio fucile, allineato al mirino, poco più in basso per bilanciare la curva della traiettoria lunga.

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Giano

Eri un mostro dai due volti.
Come Giano guardavi in due mondi,
come Lamia mi ruotavi attorno promettendomi sogni e succhiando
il sangue
ti sei nutrita di ciò che poi rigettavi contro di me.
Ma ti amai
-ciò nonostante-
per il mostro che eri.

Lo portai via -forse- quel volto, o se ne andò in altro modo.
Ne vedo i resti ancora spezzati cadenti come colpiti da una grande forza.
Di te rimane uno solo volto.
Quello che non desiderai.
Quello di cui non potrei provare mancanza.

Mi chiedo solo dove alberghino quei resti.
Se sbriciolati, calpestati, perduti per sempre
o se sia io Giano a vedere due mondi
di cui uno appeso inesorabilmente a quel tempo.

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Racconti

Oltre il muro

Non ho voglia di svegliarmi, non credo sia ancora il momento, voglio rimanere ancora qui un po’ nel letto a ricordare la serata di ieri.
Quando mi sono vestita per lui e…
…cos’è successo ieri? Perché non riesco a ricordare?
Il letto non è affatto morbido, ed è freddo, ed ho un dolore forte al centro del petto.
Dove sono?!
Attorno a me buio, non sento il ticchettio della sveglia, ma è qui, la tocco ma sono sul pavimento e attorno sento solo la sveglia che non fa rumore e non sento le fughe delle mattonelle.
Sono seduta e gli occhi si stanno abituando all’oscurità, il pavimento di questo luogo è nero e lucido, somiglia a vetro ma è in qualche modo più solido del vetro, quasi fosse una pietra vetrosa, liscia, infinita. Non vedo niente altro attorno a me. Tranne la mia sveglia a terra, ferma a segnare le dodici, mezzanotte credo data la stanchezza che sento nel corpo.

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Racconti

Oltre il muro del sonno

Quella sera indossavi un vestito nero, un bellissimo vestito nero. Un po’ oscuro forse ma su di te, sulla tua pelle candida, sul tuo corpo non poteva che essere perfetto. Ricordo come fosse oggi i tuoi capelli castano chiari, lisci ma voluminosi scendere fino metà schiena scalati in modo da avere la zona centrale più lunga. Il rosa chiaro della tua pelle spuntare da dietro ai lati dei tuoi capelli dove la maglia finiva con una scollatura larga ma non volgare lasciando immaginare dove la curvatura del tuo collo andava ad attaccarsi al di sotto di orecchie perfette ed invitanti.
La maglia era nera, come il resto, e a contrapporsi al dietro liscio sulla parte frontale era ricca di fronzoli e pizzi monocromatici spinti all’esterno da un seno non troppo prorompente ne assente, di una misura perfetta. La scollatura lasciava scoperte le clavicole in tutta la loro lunghezza e solo poco più in basso lasciando l’immaginazione scivolare sui tendini del tuo collo piuttosto che sul décolleté pudicamente coperto, e vorticare fino al tuo mento perfetto, le guance lisce e gli occhi di una gradazione tra il verde ed il grigio truccati solo lievemente per allungarne l’angolo.

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La porta del paese delle meraviglie – Parte terza

Ero ancora lì, accanto alla porta in attesa di un ricordo per sapere cosa attendessi, in attesa che un’attesa terminasse mentre terminava quello che veniva proiettato sullo schermo, non mancava molto al termine quando iniziò a nevicare nel bosco.
Nevicava ovunque nel bosco ma non nella casa di bosco, la neve si posava lieve e immobile ma non si accumulava, cadeva ancora. Non che ci fossero finestre da cui osservarla, non che ci fossero pareti a proteggere ma non c’era ne caldo ne freddo, ne vento ne bonaccia, e nevicava attorno e sopra e sotto e ovunque ma non nella casa che non era una casa. Nevicava.
Pensai per un momento, pensai che era strano non ci fosse freddo, e pensai che avrei voluto aprire il mobile accanto al divano, e che avrei voluto bere un Ballantine’s, che era un tempo infinitamente breve e lungo che ero qui, che avrei voluto chiudere quella maledetta porta una volta per tutte, che non sapevo cosa stavo aspettando e perché e che quindi era stupido non chiuderla e mentre osservavo cadere la neve cadere i pensieri cadere i ricordi di perché mi sentissi vagamente svenire, come io stesso fossi neve che lentamente scende come se io fossi in qualche modo mondo e questo mondo fosse me si mosse il mobile accanto allo schermo, si aprì, ne uscì una bottiglia di Ballantine’s che si versò in un bicchiere, la bottiglia alzata si sciolse e si versò nel bicchiere divenendo liquido ambrato, non più di due dita.

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L’inconsolabile Orfeo di Pavese

Il sesso, l’ebbrezza e il sangue richiamarono sempre il mondo
sotterraneo e promisero a più d’uno beatitudini ctonie. Ma il tracio
Orfeo, cantore, viandante nell’Ade e vittima lacerata come lo stesso
Dionisio, valse di più.(Parlano Orfeo e Bacca).

Orfeo: E’ andata così. Salivamo il sentiero tra il bosco delle ombre. Erano già lontani Cocito, lo Stige, la barca, i lamenti. S’intravvedeva sulle foglie il barlume del cielo. Mi sentivo alle spalle il fruscìo del suo passo. Ma io ero ancora laggiù e avevo addosso quel freddo. Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò ch’è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta sarebbe finita. Ciò ch’è stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue.

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Racconti

Vattene, pre ferisco

Vattene lontano da me.
Lontano come oltre la vita, oltre la morte.
Lontano.
Ricordo ancora come fosse oggi la prima volta che ti incontrai, lo ricordo più di quanto la mia mente sia in grado di ricordare gli anni, i decenni ed i secoli che intercorrono tra quel momento ed oggi.
Ricordo ogni singola piega della pelle del tuo volto, del tuo collo, ricordo il movimento delle tue mani e la delicatezza delle tue dita, ricordo ogni sfumatura che i tuoi capelli illuminati dal sole presero quel giorno, ricordo il tuo modo di muovere le labbra e la semplicità del tuo sorriso che faceva apparire naturale essere felici in questo mondo oscuro e nero, ricordo il sorriso che si disegnò sul mio volto, i muscoli della faccia che non potevo osservare ma che si tendevano incontrollabili a segnalare che qualcosa dentro di me stava cambiando, che qualcosa nella mia vita non era più ciò che era stato.

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Racconti

Immergersi in te stesso (edited)

*il racconto è stato modificato dopo la pubblicazione iniziale*
Non è buona norma in genere immergersi in solitaria, in tutti i corsi insegnano a scendere sempre con in compagno ma d’altronde sono molte le cose che non è buona norma fare, ad esempio scendere con un bombolino ean 70 in una immersione profonda, ad esempio, ma non credo che nessuno dei due rappresenti un problema per l’attività che ho scelto di fare oggi.
Questa è una bella sera di una stellata come poche volte se ne vedono, complice l’inverno e lo scarso turismo la gran parte delle luci sono spente e questo permette di vedere il tutto illuminato solo dagli astri e dalla luna che sta salendo lentamente all’orizzonte tra i monti. L’aria è frizzante e viva, e l’acqua assolutamente calma, un’ottima notte per un’esperienza come questa.

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